Centro Studi Ermetici Alchemici

LE ORIGINI EGIZIE DELL'ERMETISMO ALCHEMICO

Anche se i primi documenti scritti, che trattano di una certa metallurgia sacra, provengono da tavolette cuneiformi della Mesopotamia del I millennio a.C., occorre sottolineare che l'alchimia occidentale ha un'origine geografica ed uno sviluppo storico avvolti nel mito.
Alcuni affermano che è sorta prima la pratica metallurgica e poi quella interiore, mentre altri affermano il contrario. Questa diatriba è possibile perché l’alchimia nel corso dei secoli ha convissuto con periodi storici e contesti sociali assai diversi, assumendone i diversi aspetti filosofici, religiosi e tecnici, assorbendone le svariate tradizioni mitologiche.
Tuttavia essa, come altre conoscenze della Tradizione, è da considerarsi un valore eterno, sempre presente nell’inconscio collettivo dell’umanità, senza un inizio storicamente ben definito; quindi è impossibile determinare se la pratica è nata in un remoto passato insieme alla metallurgia, alla lavorazione di vetri, di profumi, di tinture e medicamenti, oppure insieme agli insegnamenti e ai rituali di antichissimi ordini sacerdotali e iniziatici, nel cui ambito venivano effettuate segretamente anche tali lavorazioni.
Le conoscenze della metallurgia vengono tramandate nel segreto di ristrette corporazioni e nella società antica il fabbro assume connotati ambigui e temuti, quasi diabolici, che spesso lo spingono ai margini della collettività. In Egitto i fabbri lavorano sotto la supervisione di alcuni collegi sacerdotali, che esercitano il culto del dio artefice Ptah o del dio mago Thoth, conoscitore della scrittura, delle arti e della scienza segreta della mummificazione dei corpi.
E’ soprattutto nel tempio di Heliopolis che si formano le concezioni base della pratica alchimica occidentale, che assume presto connotati spirituali: l'unità divina nella pluralità sempre divina delle forme del creato; la corrispondenza tra cielo e terra e tra macrocosmo e microcosmo. Si crede che tutta la materia e quindi anche i metalli -le fluorescenze interne della terra- sia vivente e assoggettabile al perfezionamento, poiché nella materia e soprattutto nell'uomo il dio si trasforma e si rivela; a ciò si aggiunge il culto per il principio fuoco, che rinnova la terra ed ogni suo elemento, eliminandone la corruzione.
Anche se ai suoi tempi già esiste questo vasto retroterra, culturale ed operativo, solo nel III-II sec. a. C. appare in Egitto il primo autore dell’Arte, certo e non mitico - Bolo di Mende – cui si riferiscono testi scritti che sembrano semplici ricette di tipo artigianale, ma che sono sostanzialmente magiche ed indicano ingredienti simbolici e misteriosi.
Negli ultimi secoli a. C. e nei primi secoli d. C. , ad Alessandria di Egitto, sorge un polo culturale internazionale, un crogiuolo straordinario di correnti filosofiche neoplatoniche e neo pitagoriche, di ricerche scientifiche, di movimenti religiosi gnostici, pagani, cristiani ed ebraici, che completano la formazione della teoria e della pratica.
Nell’Egitto ellenistico sorgono le prime dottrine e pratiche tipicamente alchimiche, perché esse, da uno studio prevalentemente utilitaristico dei fenomeni chimici dei metalli e della materia, passano ad uno studio metafisico per via simbolica, supportato dalle già indicate concezioni magiche e religiose. Nel III sec. d. C., con Zosimo di Panopoli, l'alchimia alessandrina giunge al suo apogeo; di Zosimo infatti è il primo testo scritto che riconosce all’alchimia una funzione iniziatica e spirituale, oltre che metallurgica.
Lo studio della natura è favorito anche dall'apporto del pensiero filosofico greco del VII-VI sec. a.C; i filosofi presocratici sostengono l'esistenza di una sostanza unica ed originaria – detta archè- che si sviluppa e si diversifica tramite un conflitto costante di opposti, tenuti insieme da una più potente sintesi. Tale conflitto suscita le forze che fanno muovere l'universo.
Dopo questi primi pensatori emerge la figura di Eraclito (VI-V sec. a. C.) che associa l’archè al fuoco, il principio che sta alla radice di tutte le cose, l’elemento primo della trasformazione e che poi dagli alchimisti sarà chiamato fuoco segreto. Eraclito concepisce un archetipo in cui tutto scorre, tutto va e viene incessantemente, tutto parte dal fuoco e ritorna al fuoco; questo movimento è prodotto dal conflitto di qualità contrarie, ma dietro questo conflitto si cela una profonda armonia, l’intelligenza e l’energia vibratoria universali del Principio, dette nous e logos e chiamate successivamente dagli alchimisti il Mercurio.
Ma occorre aggiungere che nei secoli successivi l’alchimia occidentale si distingue in due metodologie. La prima deriva dalla metallurgia sacra dell’area mesopotamica, di carattere magico e rituale, legata all’astrologia e spesso elaborata da operatori di religione ebraica, che associano la manipolazione dei metalli all’unione dell’energia sessuale maschile con quella femminile, che elaborano tutta una serie di strumenti e procedimenti chimici per la trasformazione del piombo in oro, a volte abbinando la pratica allo studio della cabala. La caposcuola di questa prima prassi è considerata Maria l’Ebrea ed essa si è tramandata fino ai giorni nostri, con la scuola francese di Poisson e Fulcanelli.
La seconda metodologia deriva da tradizioni iniziatiche egizie ed ermetiche, è essenzialmente mentale ed interiore, basata su di un pensiero e di una immaginazione creativi, attivati da simboli, immagini e visioni; ricerca la sinergia dei centri del corpo, del cuore e del cervello, ed è inoltre più libera da riti magici e corrispondenze astrologiche, dagli schemi ristrettivi della cabala. Il caposcuola è considerato Zosimo di Panopoli e tale prassi spirituale, oltre che metallurgica, si è tramandata fino ai nostri giorni, attraverso il movimento ermetico rinascimentale, soprattutto con la scuola italiana.
Nella prima metodologia è soprattutto la particolare struttura ondulatoria e radiante raggiunta dal metallo, trasformato in oro potabile ed assunto dall’operatore, ad attivare la trasmutazione spirituale; nella seconda è soprattutto il particolare campo energetico e mentale dell’operatore, esteso e potenziato, che può trasmutare l’ambiente che lo circonda ed eventualmente il metallo nel crogiuolo o la pianta nell’alambicco.
Altri alchimisti, successivi a Zosimo, avvertono spesso a non intendere alla lettera la simbologia metallica, a intendere la metallurgia un pretesto per l'esercizio dello spirito, a non preoccuparsi troppo di fornelli e alambicchi. La metodologia interiore è esportata nel mondo arabo da un misterioso monaco, discepolo di Stefano di Alessandria e della stessa metodologia di Zosimo, che nel 680 a Damasco trasmette l’Arte al primo alchimista arabo, Khalid Idn Yazid. A Morieno si attribuisce il Testamento, il primo testo arabo di alchimia tradotto in latino e che esporta in Europa la prassi ermetica.
Occorre dire che la metodologia metallica, nel suo sforzo di produrre l’oro, sconfina nella ricerca esasperata della ricchezza materiale, nella pratica dei cosiddetti soffiatori di carbone o delle farfalle affumicate, o di veri e propri falsari, che hanno spesso gettato nel discredito l’Arte e provocato persecuzioni o scomuniche da parte delle Autorità, sia durante l’impero romano, sia nel Medio Evo.
Tuttavia la distinzione che fanno molti autori, spesso contemporanei, tra alchimia spirituale e alchimia materiale, se è appropriata per quanto riguarda i metodi, trae in inganno per quanto riguarda la finalità. Difatti entrambe concepiscono la Grande Opera come una ricerca all’interno della materia, nella sua struttura, per separare le parti sottili dalle spesse, le parti volatile dalle fisse. Questo lavoro determina una trasmutazione sia del metallo o della pianta, sia dell’operatore che intraprende questa avventura, dato che attraverso le varie funzioni del suo stesso corpo se ne distilla lo spirito, cioè la sua energia vitale ed intelligente, e poi si rinnova o rettifica tale corpo con lo stesso spirito.
L’alchimia è una conoscenza metafisica, basata sulla concezione di un universo organico e vitale; ma è pure un’attività pratica e prevede esperimenti e risultati materiali, oltre che spirituali. L’alchimia ha un atteggiamento conoscitivo, è un sistema coerente d’interpretazioni o descrizioni della realtà, messe alla prova costantemente attraverso il successo o meno in determinate attività quotidiane, come nella produzione di vari preparati, ma soprattutto nella cura dello stato di salute, dell’attenzione, della percezione, degli affetti e delle relazioni con gli altri, delle iniziative che danno un senso all’intera esistenza.
E’ comunque fuorviante, anche se vi sono somiglianze e analogie fra loro, soprattutto nei simboli e nelle allegorie, far corrispondere le operazioni di alchimia mentale a quelle di alchimia metallurgica o spagirica. La prima gode di una certa libertà di azione e di essa l’operatore può scegliere stili diversi e regimi più o meno prolungati, viste le variabili e i ritmi evolutivi diversi nella struttura psicofisica di ogni essere umano. D’altra parte è del tutto evidente che non si può sottoporre un uomo a temperature altissime, come nel crogiuolo.
Per quanto riguarda il regno vegetale, più uniforme e con ritmi meno veloci di evoluzione, si possono dare ricette valide di ordine generale, anche se occorre rispettare le varianti legate ai cicli lunari, solari e astrologici. Nel regno minerale, molto più semplice, con un ritmo di evoluzione lentissimo, occorre invece rispettare con precisione quantità e proporzioni, i tempi e i gradi di cottura o raffreddamento delle sostanze chimiche.
Nell’alchimia interiore esperimenti utili sono quelli che riguardano la chimica della alimentazione, della respirazione e della circolazione, per distillare al meglio e senza dispendio di energia gli alimenti grezzi che il corpo ossida, scompone e trasforma nelle sostanze necessarie a sostenere e potenziare il lavoro dei centri dell’uomo: quello sessuale, motorio, istintivo, emozionale e psichico.
Dato che l’alchimia mentale presuppone un intimo legame tra pensiero e materia, tramite l’intermediazione delle immagini e dei simboli, è fondamentale soprattutto visualizzare un programma operativo, dei progetti, e poi operare con coerenza per farli nascere in concreto, esattamente come sono stati prima immaginati. Ciò può avvenire attraverso tecniche operative che coinvolgono corpo, anima e spirito, attraverso un’opera artistica, letteraria, medica, comunque con un’opera del proprio ingegno, della propria volontà e del proprio amore.
L’alchimia interiore è una tecnica che in via generale consiste in un processo di spostamento e allontanamento dell’IO dalla maschera di una personalità identificata, alienata, proiettata solo nella realtà esteriore, superficiale; processo che porta al volto autentico dell’uomo, completo e trasformato, perché ha reali esperienze di un’altra realtà, l’integrazione del corpo con l’anima e lo spirito.
Di conseguenza tale alchimia è una risposta a problemi di ordine esistenziale, quali l’origine dell’uomo e dell’universo, l’eventuale esistenza di un dio, il senso da dare alla vita, la paura della morte, l’eventuale immortalità dell’anima. Gli alchimisti occidentali, che si definiscono anche Filosofi -amanti della conoscenza-, danno a tali domande una risposta sorretta sia da modelli teorici logici, sia da risultati concreti, empirici, provenienti da un comportamento che esige un modo specifico di essere e di fare nella vita di tutti i giorni.
Questa risposta deriva da una iniziale ipotesi di lavoro, come ipotesi spesso sostenute dalla fede sono tutte le soluzioni proposte all’uomo, religiose od esoteriche che siano. L’ipotesi dell’alchimia è questa: se la vita non è un fatto casuale, senza significato, il solo fatto di esistere presuppone che vi sia un principio metafisico come causa originaria, una intelligenza o una memoria che genera e guida l’universo visibile, un’energia unica che sostiene e muove la natura.
L’alchimia ipotizza che l’uomo, con un processo operativo, possa trovare in sé un punto di contatto con il principio metafisico causante, o meglio uno stato di integrazione tra l’effimero e l’eterno, tra l’individuo e l’intelligenza universale che si individua e si realizza in tutti gli esseri viventi, tra l’energia finita che anima l’uomo e l’energia infinita che anima il mondo, tra l’uomo e l’Assoluto che l’alchimista non considera un ente del tutto trascendente, ma semplicemente il Principio, lo stato virtuale dell’esistenza reale, un campo d’infinita creatività anche immanente, quindi sempre presente nelle cose del mondo.
L’ipotesi di lavoro, il contatto con il principio metafisico, è poi confortata nel corso della tecnica operativa da alcune trasformazioni, che avvengono gradualmente nello stesso alchimista e che sono descritte più o meno esplicitamente nei testi. Le principali consistono nella graduale trasformazione di una consapevolezza passiva, opaca, frammentata e instabile in uno stato di coscienza lucido, intuitivo, unitario e stabile; nel più elevato campo energetico dell’operatore, grazie ad un suo più equilibrato stato di salute ed al potenziamento della forza vitale del corpo, capace di assorbire gradualmente l’energia vitale universale.
Il nuovo livello energetico porta a capacità ipersensoriali o extrasensoriali di vario tipo, ad esperienze oniriche significative, ad un pensiero e ad una immaginazione particolarmente creativi. Ma il vero ed ultimo scopo dell’alchimia spirituale è il raggiungimento di una sopravvivenza dell’IO superiore, più o meno completa, dipendendo ciò dal lavoro eseguito dall’operatore nel corso dell’esistenza. Questo atteggiamento risale sicuramente alle tradizioni iniziatiche dell’antico Egitto; basta considerare il Libro Egizio dei Morti, datato intorno al 2.000 a.C.
In questo caso la trasmutazione dei metalli diventa una metafora suggestiva: estrarre dalla miniera umana e rettificare i metalli grezzi, con scorie terrene, segnati dal tempo e corruttibili tramite ossidazione e ruggine; produrre il metallo nobile, l’argento malleabile e lucente, e poi il metallo perfetto, l’oro inalterabile, di natura eterna, perché non si corrompe con il passare del tempo. Ma non si tratta di un atteggiamento mistico, passivo, di un’adesione dogmatica ad un’ideale; bensì di un’ipotesi plausibile, portata avanti da una tecnica basata sull’esperienza diretta, sull’attività di ricerca, maturata nella propria coscienza, modificatrice della propria struttura energetica, emozionale e mentale.
Lo stato della cosiddetta pietra filosofale è quindi per l’alchimia mentale un’estensione della coscienza dell’operatore, prodotta da uno spostamento dell’IO dal sistema neurovegetativo e dal cervello ad una sfera allargata di percezione, che abbraccia il sistema armonico della natura e dell’emanazioni celesti. Tale processo parte dall’intelligenza umana per regredire a quella animale della specie ed arriva, attraverso l’intelligenza vitale del vegetale, fino all’antichissima memoria del minerale, dove è possibile rintracciare anche a livello consapevole lo spirito eterno ed universale.
Questo campo percettivo può essere percepito come un alone luminoso ed ondulatorio, che circonda il corpo fisico e non sarebbe che un IO più sofisticato di quello comune, capace di svolgere la funzione di condensatore o centralino di quella rete infinita e complessa che è la mente cosmica.
La sopravvivenza dell’IO superiore, inseguita dall’alchimia spirituale, é basato sul presupposto che il Principio é dietro ogni cosa, nel microcosmo e nel macrocosmo, nel minerale, nel vegetale, nell’animale e nell’uomo. Anzi esso è presente nell’essere umano con la sua specializzazione più elevata, la coscienza o riflessione su sé stesso, dato che negli altri regni naturali risiede solo come intelligenza della materia inorganica o della specie, sensitiva o istintiva.
Pertanto, quando l’alchimista è in grado di riflettere e realizzare in sé che la sua consapevolezza è in fondo la consapevolezza del Principio, può trovare il ponte tra l’effimero e l’eterno, la pietra di volta per la costruzione della sopravvivenza dopo la morte.
Ogni cosa, ogni evento, é un modo di essere del Principio, una sua modalità di esistere, cioè di uscire fuori da uno stato virtuale, per apparire in una dimensione le cui coordinate sono lo spazio e il tempo, elementi della sua individuazione. Nelle sue manifestazioni esistenziali l’Assoluto è chiamato dall’ermetismo Mercurio e il suo aspetto spaziale fa apparire il fenomeno mercuriale come oggetto, mentre quello temporale lo fa apparire come processo.
Quando si dice che il Principio viene ad esistere, si intende che da sé stesso si fa a sé stesso manifesto, uscendo dall’assenza di qualsiasi forma o presenza, quindi dalla mancanza di qualsiasi rapporto di conoscenza. Per capire meglio, si può fare l’esempio di una persona che non si é mai vista in faccia e che si mette di fronte ad uno specchio con miliardi di sfaccettature per conoscersi.
Quindi il Principio si realizza attraverso il movimento ed il cambiamento continuo di forme del Mercurio, che si veicola e si diversifica negli esseri viventi: questo è il motivo dell’esistenza di un universo mutevole e quindi imperfetto, di un uomo dalla forma corporea peritura e quindi sofferente.
L’energia intelligente del Mercurio, che è la logica dell’universale, dei grandi numeri, delle regole fisse che fanno muovere il cosmo, quando si specializza in un singolo uomo, acquisisce la capacità di mettersi in una relazione consapevole con la natura e con diversi esseri viventi; di trarre da questa relazione informazioni e giudizi di valore, che configurano in maniera unica l’esperienza di una breve esistenza umana. Queste informazioni e giudizi danno all’uomo una facoltà particolare nell’universo: il libero arbitrio, la possibilità di modificare gli atti istintivi e abituali, di avere padronanza dei propri stati psichici, capaci di elaborare valori nuovi e di portata universale, di cambiare il proprio destino.
Il Principio è eterna ed infinita logica processuale, ma sarebbe incapace di riconoscersi senza acquisire l’esperienza degli esseri viventi; in particolare sarebbe incapace di giudicarsi e di acquisire esperienze fortemente innovative, senza il libero arbitrio dell’uomo. Quindi il Principio in sé e per sé, senza l’uomo, non avrebbe coscienza, come non ha coscienza ad esempio il D.N.A che, per riconoscersi e giudicarsi, ha bisogno di uno scienziato il quale, portatore dello stesso D.N.A, lo sperimenti attraverso le ricerche di laboratorio.
La sopravvivenza dell’operatore alchimico ha come punto di partenza la presa di coscienza che l’Assoluto e l’uomo sono i termini complementari di un unico potere, la cui forza soprannaturale è però latente nell’inconscio dell’uomo. D’altra parte la vera conoscenza presuppone l’identità tra soggetto ed oggetto della conoscenza e quindi la raggiunta conoscenza ermetica del Principio da parte dell’operatore determina la coincidenza tra lo stesso e il Principio.
Si può affermare che la mente umana è il centro unitario psichico dell’universo, lo specchio attraverso il quale il mondo si riflette. Poiché rispecchia il Mercurio, il Principio nella sua forma mobile, la mente dell’uomo può in teoria estendersi all’infinito e perdurare in eterno. La consapevolezza integrata dell’iniziato è quindi il crocevia, il punto di unione tra macrocosmo e microcosmo, il punto di coincidenza –si perdoni il gioco di parole- tra IO e DIO.

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