Centro Studi Ermetici Alchemici

SATURNO NEL SOLSTIZIO D'INVERNO

La grande mente collettiva, l’inconscio, si esprime attraverso comportamenti agiti senza la consapevolezza, attraverso immagini di sogni, simboli, miti, fiabe che da sempre hanno accompagnato la storia dell’umanità, ed il concetto, nel senso di produzione di logica argomentazione o rappresentazione, “non è che una pallida rappresentazione, una traduzione parziale ed imprecisa di quell’immagine profonda che esso, più o meno goffamente, cerca di esprimere”. (Jung)
La nostra mente, tassello della grande mente, è un contenitore d’elezione dove l’energia vitale circola e la possibilità di trasformare in modo evolutivo e costruttivo le sue potenzialità dipende dall’uso illuminato che l’operatore è in grado di realizzare; nel lavoro alchemico che abbiamo avviato si concretizza nella capacità di regolamentare con costanza e saggezza il regime del Fuoco, acquisendo sempre ulteriore abilità e progressiva consapevolezza ed imparando ad osservare e modulare il gioco sottile degli elementi.
Immaginiamo di essere nel buio e voler percorrere una via; l’oscurità avvolge e ci avvolge, la nostra vista non è sufficiente, abbiamo solo una piccola fiammella, che ci guida e seguendone il cono di luce, la visione inizia ad espandersi sempre di più, consentendoci di avanzare. E allora vedremo ogni sorta di visioni, dalle più grossolane alle più sottili, le stesse ombre lasceranno la loro oscurità per rischiararsi e sfumarsi nel chiarore che avanza. Anche l’ombra, spesso temuta e vista negativamente come il lato oscuro, ha la sua parte positiva, magica, trasformativa, aspettando solo che i raggi della luce si inclinino sempre più verso di lei.
Vi è mai capitato di fermarvi ad osservare su una parete chiara quanto sia luminosa l’ombra proiettata di un oggetto e come, più l’oggetto sia miniato nei suoi dettagli, più questi siano depositati nell’immagine riflessa? Sono frazioni di luminosità molto speciali dove si realizza l'anticipo di un grande mistero: lo stesso passaggio in quella zona di sospensione e di limite che si manifesta con l’arrivo di Aurora, la dea dalle rosee dita come la chiama Omero e sorella del Sole e della Luna, quando nel cielo dischiude le porte al giorno, alla luce che verrà.
E allora uscendo dalla notte e con questa visione di sospensione e di attesa, entriamo sempre più, illuminati dalle nostre candele, nel mistero del Solstizio di Inverno.
Due Archetipi sono presenti nel Solstizio d’Inverno, concedendo il passo l’uno all’altro: Saturno e Sole.
In questa fase che precede il Solstizio, vi è l’incontro con Saturno, il greco Cronos, il dio antico, signore del tempo, spesso temuto ed evitato dai tanti, perché vedono in lui prevalentemente un volto gelido, pietrificato e divorante, quella parte negativa ben rappresentata dal Goya nel dipinto dove lo ritrae mentre sta per mangiare il figlio.
A Saturno viene attribuita la freddezza e la secchezza, qualità che rimandano alla presenza di polarità femminili e maschili, evidenziando la mancanza delle qualità primarie della Luna e del Sole, l’umido ed il calore, quasi a significare una potenzialità legata e attratta dalle forze ctonie, il cui calore è imprigionato nella profondità della terra e tutto rimane congelato, inespresso. Un’apparente desertificazione della natura, che esplicita la doppia natura dell’Archetipo, attribuendogli il nome di sole nero.
Il mito ne parla prevalentemente come di un vecchio e temuto saggio, signore del tempo, che con un falcetto d’oro taglia ciò che è superfluo e inutile. La ciclicità, come un grande arcobaleno che appare e scompare quale ponte tra il materiale e lo spirituale, è fedele presenza del dio, il quale muovendosi lentamente segna i lunghi cicli vitali.
Un tempo, il giovane Saturno, viveva nell’età dell’oro, una età lontana, antica, persa o dimenticata.
Tra i suoi genitori, narra Esiodo, Urano il fuoco e Gea la terra, vi era una unione tale da non consentire alla madre l’espressione della sua forza creativa e le sue creature dovevano rimanere negli anfratti della terra, perché cosi aveva deciso il padre Urano, impedendo loro di vedere la luce. La madre, non tollerando questa mortificazione, chiese aiuto al figlio e gli consegnò un falcetto d’oro con cui Saturno evirò il padre.
Con questo gesto il figlio accolse su di sé la maledizione paterna e dal sangue del genitore nacquero creature quali le Erinni, i Giganti, le ninfe, dando origine alla stirpe umana e dal suo membro, gettato in mare, nacque Afrodite, la dea dell’eterna Bellezza.
Con un atto determinato fu tolta al padre la forza creativa e spodestandolo, Saturno, ne ha raccolto l’eredità, diventando signore del cielo. Da figlio rifiutato si è reso adulto e, perpetuando il legame con la madre terra, ha consentito l’esordio di un primitivo riscatto ed il possesso della forza creativa.
Ma la storia si ripete e Saturno divora i suoi stessi figli, avuti da Rea, la grande madre.
Narra il mito che un secondo ciclo di vita ha avuto inizio per lui, quando il modello paterno viene riattualizzato tenendo Saturno profondamente radicato nella viscere della terra, delle passioni, del possesso. Sarà l’ultimo suo figlio, Giove, a interrompere la nemesi quando, salvato dalla madre, si rivolge contro il padre e lo caccia. Il legame antico è spezzato e per Saturno vi è l’esilio, tema che rappresenta la necessità del silenzio, della solitudine, della desertificazione e della purificazione dalle brame indotte dal tempo stesso. Solo passando dalla desertificazione, dal silenzio dell’anima, potrà avvenire la riconciliazione.
Così Saturno entra nell’età della saggezza, si riavvicina al proprio figlio, ed un altro ciclo si conclude, il ciclo legato alla terra ed alla sua trasformazione, rendendo possibile il ritorno a quella età dell’oro o di rinascita. Il grande vecchio raggiunge finalmente la possibilità di oltrepassare quella soglia.
Rimanda a Saturno l’incisione della Melanconia del Durer, quale suggello della forza profonda e potente del dio. Forza ctonia che viene dalla terra e che genera staticità e fissità se, come ci rappresenta Giano, rimaniamo con lo sguardo fermi all’indietro, cogliendone la polarità passiva, negativa, immanente nella cupezza della materia; ma nell’ immagine alata vi è anche uno sguardo verso l’avanti, dove da una feconda e potente energia scaturisce la luce.
A noi la scelta, a noi la volontà creativa di oltrepassare la soglia. E allora la forza luminosa presente nell’ oscuro dio, sul finire della notte del Solstizio, oltrepassata la soglia, ci trasporta verso l’Aurora per risplendere e iniziare il nuovo ciclo.
Saturno nell’evirare il padre ha rappresentato anche il punto di non ritorno, primo passo di un lungo cammino, della irreversibilità e permanenza presente nella mutevolezza del divenire.
Saturno prende gli aspetti del dio della cupezza della mente, della fissità, del trattenere le energie all’interno, mantenendolo in uno stato di costrizione, di mancanza di libertà verso le sue stesse creature, sino a quando il ciclo non viene interrotto.
Come dicono alcuni autori Saturno è un dio dai “torvi pensieri” ma anche il dio dell’attesa, dell’esercizio della pazienza, della memoria trasformativa, della speranza e della sopravvivenza. E’ un dio dove l’esercizio dell’empatia, dell’accoglienza vengono momentaneamente sospese consentendo il rivolgere dell’attenzione ed il lavoro al proprio interno per poi diventare pronti al portarlo esternamente.
Con una immagine semplice, Saturno diventa il dio delle fondamenta quali premesse per costruire cattedrali che si innalzano verso la luce oltre il cielo.
Anche questo è Saturno nel suo mito, nella sua ciclicità, nel suo narrarsi nella storia.

MASSIMO CENTOFANTI

AFORISMI
Ciò che non può essere spiegato con il linguaggio della logica può essere meglio afferrato per immagini, simboli ed aforismi che, come semi, penetrano nell’inconscio in attesa delle condizioni propizie per germinare.

1. Di certo vi sono due specie di morte: l’una, ben nota, del corpo che si scioglie dall’anima, l’altra, propria dei filosofi, dell’anima che si scioglie dal corpo. (Porfirio, Sentenza XX)

2. Muori senza morire e vivrai per sempre (Lao Tze)

3. La ricompensa è uscire vivi dal tempio, dopo esservi entrati morendo all’illusione. (Schwaller De Lubicz, Il tempio e l’Uomo)

4. L’uomo deve passare attraverso la mortificazione e le tenebre della morte prima di giungere fino a Dio. Morire a sé stessi è nascere a Dio. Pochi sanno ciò e ancor meno lo osano (Louis Cattiaux, Il Messaggio Ritrovato I,41)

5. L’anima umana prova nella morte quasi gli stessi effetti che nell’iniziazione; quindi le parole corrispondono alle cose: teleutan suona morire ed essere iniziato; e deriva dalla radice tel che vale fine o morte: poiché la morte è fine della vita animale e l’iniziazione è fine della vita profana. E il verbo telein vale egualmente finire o iniziare, perché include il terminar della vita profana e il principiar della sacra. (Gabriele Rossetti, La Beatrice di Dante)

6. Nasci dunque da te stesso una seconda volta. Se ricerchi, devi fonderti al fuoco dell’amore nel crogiuolo (croce) della sincerità, poichè occorre nascere due volte, una volta dalla madre, l’altra da sè stessi…Morite prima di morire per divenire Luce di Dio. (Jalaloddin Rumi, La Parola Segreta)

7. Nessuno può essere salvato senza rinascita… (Ermete Trismegisto al figlio Tat, Sulla Palingenesi)

8. La morte iniziatica è indispensabile all’inizio della vita spirituale. Essa prepara la nascita ad un modo di essere “superiore”. (Mircea Elide, Nascite Mistiche)

9. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. (Gesù)

10. Vita mihi mors est; morior si coepero nasci; Sed prius est fatum leti quam lucis origo, Sic solus Manes ipsos mihi dico parentes. «La vita è per me morte; muoio iniziando a nascere; ma prima dell’origine della luce è il giorno fatale della morte; io solo chiamo Mani i miei stessi genitori» (Caelius Firmianus Symphosius, Enigmi XXXI)

11. Iniziarsi è morire. (Plutarco - Stob., Floril., IV, 107)

12. Rinato per l’eternità. (Taurobolium – sacrificio del toro in onore di Cibele)

13. Bisogna abbandonare ogni concetto noto; ignorare ogni conoscenza morta per trovare ciò che vive e dà vita... morire per rinascere. (Elemire Zollà)

14. Un uomo può nascere, ma per poter nascere deve prima di tutto morire, e per poter morire deve prima di tutto risvegliarsi. (P.D. Ouspensky)

15. Affermano che l'anima dell'uomo è immortale, e che talora termina la vita terrena - ciò che si chiama morire, e talora di nuovo rinasce, ma che non perisce mai. (Socrate)

16. INRI (Igne Natura Renovatur Integra). Il Fuoco divino che purifica, rinnova la natura, mondandola da ciò che divino non è, e ristabilendo eguaglianza sostanziale, fra la fonte e la manifestazione. (Carlo Caprino)

17. È per rinascere che siamo nati. (Pablo Neruda)

18. Dobbiamo nascere due volte per vivere un po’, anche solo un po’. Dobbiamo nascere nella carne e poi nell’anima. Le due nascite sono come uno strappo. La prima proietta il corpo nel mondo, la seconda lancia l’anima al cielo. (Christian Bobin)

19. Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant' è amara che poco è più morte. (Dante – Inferno, Canto I)