Centro Studi Ermetici Alchemici

TESTAMENTI ALCHEMICI

Testamenta (testamenti in latino) sono dette le opere che gli alchimisti hanno lasciato non tanto ad attestazione del loro impegno operativo – anche se per i posteri possono valere come tali – quanto piuttosto a riprova – per loro stessi – della lucidità del loro sapere, esplicitamente o implicitamente all'insegna del principio “nisi solis nobis scripsimus”, come a dire: l'abbiamo fatto per noi stessi.
Chi sa, infatti, per avere una certa verifica della chiarezza del suo sapere, lo esprime concettualmente, come lo studente che si ripete ad alta voce la lezione mentalmente appresa.
E' può essere un dramma, il dramma del passaggio dall'immaginario al reale.
Le immagini scorrono nella mente come le immagini della pellicola di un film sullo schermo; il problema è di fissarlo riducendole a concetti per la loro esplicazione a viva voce...
Tradurre tuttavia le une e gli altri in vita vissuta è ben altro impegno e compito.
“Un uomo ha tanta scienza, per quanto sa agire” ripeteva ai fratelli San Francesco, mentre un motto alchimistico avverte “verum non est si versum non fuerit in terram”, che liberamente tradotto suona: “non è vero finché non è fatto”.
In ambito letterario non esiste un trattato di Alchimia completo, comprensivo dei più diversi aspetti della Grande Opera, nelle sue implicazioni dottrinali ed operative, mentre non mancano antologie e raccolte anche ampie di testi, quali:
Artis auriferae (XVI sec.)
Novum Lumen (XVI-XVII sec.)
Theatrum Chemicum, Museum Hermeticum, Chymica Vannus, Lucerna salis philosophorum (XVII sec.)
Bibliotheca chemica curiosa (XVIII sec.); ma dal XVIII secolo non sono stati più scritti testi in forma di trattati, sono state invece solo pubblicate storie dell'Alchimia e saggi divulgativi, sino alla metà del XX secolo, quando si sono posti all'attenzione di chi interessato scritti “sub nomine” di Marco Daffi e “Il libro di AK Z UR”, questo, nel suo genere, quale “summa”.
Ma proprio per evitare la “deminutio” nel passaggio dall'immagine al concetto, in Alchimia (nell'Alchimia europea) è stata preferita all'espressione letteraria quella figurativa donde il privilegio alla pubblicazione di serie d'incisioni, xilografie, figurazioni (dette “aenigmata”) che si trovano infatti in grande copia, quali:
-le figure geroglifiche di Flamel (XIV sec.) se pur si assume la sua figura di adepto sia una invenzione posteriore al XVII secolo e che il Livre des lavures a lui attribuito per lo stile della scrittura sia del Rinascimento...
-le dodici chiavi della filosofia di B. Valentino (XV sec.)
- il Rosarium philosophorum di anonimo e Alchimiae Operationes del Beccafumi (XV-XVI sec.).
Ed ancora:
nel XVI sec. Amphitheatrum Sapientiae (Kunrath) e Margarita Pretiosa (J. Lacinius);
nel XVII sec.
Aureum Vellus (Trissmossin)
Atalanta Fugiens
Simbola Aureae Mensae (Mayer)
Mutus Liber (Altus)
Philosophia reformata (Mylius)
Viridarium Chimicum (Stolcius)
Cabala Speculum Artis et Naturae in Alchimia Kabbala denudata
De Lapide Philosophico
Museum Philosophorum (Lamsprink)
Viatorum Spagyricum
Uraltes Chymisches Werk (Abraham Eleazer);
nel XVIII sec.
Liber singularis (Barchusen);
nel XX sec.
La Sinossi ermetica di URAZA e della stessa firma tutta una serie di illustrazioni di corredo ai testi sub nomine Giammaria.
Non occorre un particolare acume per rilevare che si ritrova, nelle figurazioni, un uso comune di immagini improntate al profondo della psiche dei cultori od operatori, come se il simbolismo alchimico si conformasse ad una legge di coordinamento delle immagini torno una serie di rappresentazioni comuni di fondo, il che ha fatto intendere queste immagini come archetipiche.
Inoltre il simbolismo si svolge regolarmente su immagini a forte carica emotiva o meglio a forte impatto emotivo, mentre è costante la ricorrenza di singoli simboli a livelli diversi – a livello cioè profano (essoterico) e a livello iniziatico (esoterico), il che ha indotto operatori ad allineare in una sorta di mimesi, di pantomima, la propria operatività in interiore ad un lavoro in esteriore, quasi a testimoniare nell'associazione dei due aspetti, nella concomitante del “dentro” e del “fuori” l'omogeneità del materiale e dello spirituale, insomma la Cosa Una.
Facile esca per sprovveduti, anche studiosi, che hanno creduto e credono in una “Alchimia di fornello”, vera bufala dei “soffiatori di vetro”, dei “bruciatori di carbone”, dei “cacciatori di fumo”, che però hanno trovato e trovano credito presso tanti “binari morti “ (scrittori e libri fuorvianti).
Chi peraltro crede l'Alchimia scienza antesignana della fisica o della trasmutazione metallica e quindi gli alchimisti precursori dei fisici moderni e capaci della “fabbricazione dell'oro” comune, beh! il mondo è bello perché è vario e... avariato.
Dopo il XVIII secolo, si è preso a distinguere, se pur in modo più che confuso, vago, oscuro quando non laconico, due Vie: quella Umida e quella Secca.
L'espressioni sono improprie poiché Una è la Via se pur può essere percorsa per Arte Breve (sarebbe la via secca) ovvero per Arte Lunga (sarebbe la via umida), rimanendo invece le aggettivazioni di “secca” e “umida” correttamente riferibili alle Due Fasi dell'Opera, vale a dire di quando l'operatore (alias opifex) è ancora in atteggiamento passivo-ricettivo e quando per contro è attivato in comportamento proiettivo.
Si distinguono le due Arti nel differente modo di essere dell'artifex che:

in Arte Lunga:
pratica il silenzio per udire la voce del Nume
tiene il mondo in non cale per accedere ai Cieli
si purifica per agire
umilia il proprio anagrafico nella tensione al sé
fa mente locale ad ogni impasse;

in Arte Breve:
ascolta la voce del Nume
nel rumore del mondo tende ai Cieli nel bel mezzo del mondo
agisce a rischio pur della vita e si trova ogni volta meno immondo
agisce come fosse il Nume ad agire e vieppiù dimette il proprio anagrafico
si getta al superamento dell'impasse e... poi ci pensa.

Tutto giusto, ma agli effetti operativi la differenza sta nel fatto, di non poco momento che mentre in Arte Lunga l'Opus esige come presupposto o introito una fase di Purificazione, in Arte Breve l'Opus ha inizio a operatore “impuro”, con tutto il rischio che ne può venire, pur essendone accelerati i tempi in forza di quel “Furore eroico” (fonte d'ispirazione e promozione) che è alla base dello specifico “iter”.
In parole concrete, tecnicamente, la differenza sta nella “direzione dei fuochi” (considerati l'energie vitali nel loro complesso o il complesso dell'energie vitali), che in arte Lunga sono indirizzati a “cuocere” l'alchimista nel suo brodo, laddove in Arte Breve sono volti a riscaldare, ove spira il Nume... ,

GIAMMARIA (da Alchimia Magna Ars- Saggi su l'Alchimia)