Centro Studi Ermetici Alchemici

ALCHIMIA E CABALA

Tra mistica e alchimia vi è un salto di qualità, determinato dalla diversa visione dell’uomo e del divino. Nell’alchimia si cerca il divino nella natura e soprattutto all’interno dell’uomo, e la pratica è un costante ed eroico atto di volontà e d’intelligenza per forzare le porte del cielo. Nella mistica si confida, in tutto e per tutto, nella divina provvidenza, nella preghiera, nell’invocazione estatica del Dio per raggiungere un mondo ultraterreno. Ma alcuni santi eccezionalmente trascendono tale passività e sviluppano una mente capace d’integrarsi con la mente universale del Mercurio.
Con le attività più opportune, a volte anche con la recitazione di carmi, l'alchimista evoca il Nume dall'inconscio, per il postulato che gli archetipi o i metalli catalizzatori vanno estratti dalla miniera dell’uomo. In questa prospettiva la preghiera è utile, purché sia una tecnica di meditazione, cioè un colloquio con il proprio inconscio: sostanzialmente un monologo.
Vi è pure una sostanziale differenza tra alchimia e pratiche ascetiche, ad esempio lo gnosticismo cristiano o cataro, le regole di alcuni ordini monastici o un certo misticismo orientale. La via ascetica esige la rottura di ogni rapporto col mondo ed il ritiro da ogni contesto sociale, poiché rappresentano una continua e pericolosa fonte di peccato o di degradazione. Spesso tale atteggiamento è la diretta conseguenza di filosofie che concepiscono la creazione della vita e della materia come l'errore di un cattivo Demiurgo, un essere spirituale corrotto che oscura la luce di Dio.
La via alchemica è invece una tecnica secondo la quale la vita di ogni giorno, con tutte le sue forme apparenti, deve essere sperimentata con una costante presenza e partecipazione attiva. Se l’asceta considera illusoria e corrotta la dimensione della carne, l’alchimista valorizza sia la dimensione quotidiana della materia, sia le dimensioni sottili della vitale energia cosmica e del pensiero mercuriale che crea la materia: materia e spirito sono, per l'alchimista, il dritto e il rovescio della stessa medaglia.
In tale ottica il confine che separa spirito e materia sfuma sino alla più totale impercettibilità. Il serpente che si mangia la coda – l’Uroboros – è il simbolo di un graduale e indistinto passaggio dal corpo ad uno stato smaterializzato e viceversa. L'uomo istruito legge, nella famosa equazione di Einstein, un'equivalenza tra massa ed energia, associando la massa alla materia; tuttavia non intravede nella parola energia una sostanza spirituale. In realtà la scienza contemporanea, tranne poche eccezioni, non avendo tra i suoi strumenti concettuali l'idea di una materia sensibile, sottostante quella densa, non ne ha affatto dello spirito.
Contrariamente a quanto afferma l’asceta, per l’alchimista la materia non si trova affatto in fondo alla scala delle emanazioni del Principio. In quanto creato e non procreato, in quanto prima forma nell’evoluzione dell’universo, il regno minerale è il più prossimo allo spirito dell’universo e alle forze che animano il mondo. Invece l’essere umano, generato da altri esseri a sua volta generati – il risultato della più sofisticata evoluzione della creazione – si trova ad uno scalino più lontano dalle emanazioni, anche se nel suo scheletro coesiste il regno minerale. Prima dell’uomo si pone anche il regno vegetale, dove gli archetipi si manifestano allo stato puro; poi quello animale, il regno delle combinazioni e delle geometrie di tali archetipi.
La sperimentazione alchemica nel crogiolo ha verificato che le energie sono più radicali nei minerali che nei i corpi vegetali o animali complessi; difatti un metallo, una volta mondato dalle incrostazioni terrestri, è permeato da un unico archetipo e quindi più forte come fondente o fissante, come addensante o catalizzante. Per mezzo della loro manipolazione il processo di trasmutazione della materia in spirito è meno complicato, rispetto alla manipolazione delle forze poste all’interno dell’organismo umano, perché i metalli nella loro semplicità sono più uniti alle forze originali dell’Assoluto.
Può stupire l’asceta che il Principio richieda un corpo minerale, o vegetale o animale, che lo accolga e lo specifichi; ma che la materia sia il sostegno necessario di qualunque manifestazione spirituale nell’universo è uno dei postulati fondamentali dell’Opera.
L'alchimia invita ad agire nella vita sociale, pur senza farsi coinvolgere, perché tecnicamente la piena fruizione dell'esistente è il banco di prova dello stato di evoluzione dell’uomo. L'ascetica esige la castità, la povertà e l'ubbidienza. L'alchimia, al contrario, esclude qualsiasi dipendenza, anche da quelle che ci privano di qualche cosa; per cui l'opera è compatibile col sesso, la ricchezza e l'autonomia di giudizi. Se lo ritiene necessario, per motivi di salute o esigenze tecniche, l’alchimista a volte programma un periodo d’isolamento o di astinenza dal sesso, dal cibo, oppure da determinati alimenti e dalle bevande alcoliche, ma in assoluta libertà, senza farne un'abitudine e un condizionamento.
L'ascesi è impensabile senza la devozione per un Guru o la fede in un Messia, il cui insegnamento non può essere messo in dubbio; mentre l'alchimista è intellettualmente autonomo, anche quando frequenta una figura carismatica o magistrale, le cui parole o scritti sono messi in discussione e completamente accettati solo dopo che, con l’esperienza diretta, se ne è accertata la loro validità, secondo il criterio di una dialettica evolutiva.
Punti di contatto con l'alchimia ha la cabala, la quale prosegue un comune intento di conoscenza, basato sulla medesima visione unitaria dell’universo in cui si rifiuta la dualità antitetica di materia e spirito. Tuttavia, a differenza dell’alchimia, la cabala ebraica ha un impronta fortemente teologica e difatti il termine ebraico qabbalah significa ricezione orale di dottrine su Dio. Nel corso dei secoli i principi della cabala ebraica si sono uniti ai principi della tradizione ermetica egizia, neopitagorica e neoplatonica del mondo classico; pertanto sono nate cabale diverse, a volte meno fideistiche: quella greco-romana, quella araba e quella cristiana, infine la cabala esoterica.
La dottrina cabalistica, spesso su posizioni contrastanti, deriva dagli scritti gnostici delle sette giudaiche dell’Egitto ellenistico e della Palestina del I secolo d. C.; si sviluppa nella Francia meridionale – in Linguadoca – e nella Catalogna intorno al XII secolo, per opera di rabbini, di studiosi dei testi tradizionali della religione ebraica, permeati di idee derivanti dalla filosofia platonica e neopitagorica, tra i quali spicca Isaac il Cieco. Nel XIV secolo sorgono centri cabalistici in Italia, Germania, Polonia e Costantinopoli; poi, dopo la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, avviene una dispersione dei cabalisti in un’area geografica più vasta.
Esistono oltre seimila testi cabalistici, tra i quali i più antichi sono il Sefer Yesirà – libro della creazione – ed il Sefer ha Bahir – libro dell’illuminazione –, ma il testo principale nel quale sono confluiti molti insegnamenti è il Sefer Zohar – libro dello splendore –.
Nella cabala ebraica vi è una forte componente mistica, incentrata sullo studio della Toràh, la dottrina religiosa impartita da Mosè e contenuta nel Pentateuco, e sulla invocazione dei nomi segreti di Dio, realizzati attraverso tecniche di combinazione alfabetica e numerica. La meditazione consiste nella permutazione delle radici delle parole ebraiche, composte in genere da un gruppo di tre lettere, scrivendole e riscrivendole continuamente, penetrando nella loro comprensione segreta.
Chi è attratto dalla sperimentazione concreta ed empirica della natura, tipica dell'alchimia, può ritenere che la cabala ecceda nei processi di astrazione speculativa. Tuttavia in essa vi è una componente di magia pratica, basata sulla corretta grafia e pronuncia di lettere e numeri sacri, associati ad angeli e cieli metafisici, per intervenire sulla struttura delle cose e delle persone, analogamente all'alchimia mentale, la quale, con la meditazione intensa, agisce sulle immagini e sui simboli.
In passato alcuni cabalisti si sono interessati di alchimia interiore, come alcuni alchimisti si sono dedicati allo studio della cabala. D’altra parte vi sono riferimenti alla simbologia alchemica nel capitolo 28 del libro di Giobbe, ed esiste un testo - l’Esh Metzaref - di cabala alchemica.
Tuttavia la cabala ebraica, a differenza di quelle con forti influssi neopitagorici ed ermetici, per molto tempo non si è adattata facilmente alla mentalità ed al linguaggio dell'Occidente; soffriva di una certa rigidità culturale e religiosa, che tendeva ad escludere chi non apparteneva alla stessa tradizione religiosa: atteggiamento tipico degli ambienti chiusi dei ghetti ebraici, dove si è sviluppata. Per di più, fra gli stessi ebrei, non erano ammesse le donne e chi non aveva raggiunto l’età di quaranta anni. Questo atteggiamento è stato diverso da quello degli ambienti alchemici, che nel corso dei secoli hanno adattato linguaggio e simbologia al mutamento dei contesti religiosi, sociali e scientifici.

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