Centro Studi Ermetici Alchemici

ALCHIMIA E LETTERATURA

Se si considerano i filosofi, i romanzieri, i commediografi, gli autori di fiabe, è impossibile elencare tutti quelli che sono stati ispirati consciamente o inconsciamente da temi alchemici. Si può partire dai romanzi sulla saga del Graal, da Shakespeare, dalla filosofia olistica di Spinoza, per giungere fino a Meyrink, a Kafka, a Thomas Mann con La Montagna Incantata, a Collodi con le avventure di Pinocchio, ai Fratelli Grimm con Biancaneve e i sette nani, con Cappuccetto Rosso, e a molti altri ancora.
William Shakespeare, che ha conosciuto Giordano Bruno e l’alchimista John Dee alla corte della Regina Elisabetta, ha scritto opere colme di significati esoterici: La tempesta, Racconto d’inverno, Corbellino. In una sua poesia, La fenice e la colomba, si allude alla quintessenza alchemica. Sogno di una notte di mezza estate può interpretarsi come un dramma alchemico: le disavventure degli sfortunati amanti simboleggiano la dissoluzione della materia grezza e la sua ricomposizione in una forma sublimata, nell'atmosfera di un solstizio d'estate, dove il potere dell'elemento fuoco altera la percezione, dove sogno e realtà si mescolano in un tutt'uno. Inoltre sembra che la sua compagnia teatrale fosse legata ai Rosa Croce e che tramite le sue rappresentazioni in Europa diffondesse la filosofia ermetica, collegandosi alla tradizione dei Misteri Eleusini, dove i riti iniziatici erano proposti sotto forma di teatro sacro.
Dallo scorso secolo l’alchimia influenza le opere cinematografiche e i fumetti, forme artistiche più moderne. Tra le opere cinematografiche degli ultimi decenni possiamo citare Excalibur, L’opera al nero, Morte di un maestro del te, Solaris, La montagna sacra, The Truman show, Matrix, Cuore di soldato, Profondo blu, Intelligenza artificiale, Sliding doors, Un'altra giovinezza. Ma il Dr. Faust, il sapiente alchimista alla continua ricerca di conoscenze avanzate e proibite, è sicuramente l’esempio tipico di quanto i miti alchemici possano essere usati come base per numerose opere letterarie, poetiche, musicali, teatrali.
Spesso l’ermetismo e l’alchimia in particolare hanno preso la strada della poesia, per far circolare un insieme di conoscenze metafisiche che si propongono all’uomo in quanto essere totale, alimentando la sua immaginazione e non solo la sua intelligenza. Pertanto anche nei manuali o nei trattati l’alchimista, come il poeta, si è avvalso di un messaggio suggestivo e misterioso, fatto di simboli, miti e allegorie.
L’alchimista ed il poeta avvertono la corrispondenza che sussiste tra il macrocosmo universo ed il microcosmo uomo, la empatia esistente tra l’esterno e l’interno della realtà; tramite i miti della tradizione, tramite modelli universali vissuti con una intensa sperimentazione emotiva, essi colgono il senso del sacro, di quanto è per eccellenza reale e non è illusorio; entrano nel tempo primordiale, ciclico ed eterno, dove la morte non ha presa.
Come per il poeta, anche per l’alchimista l’esistenza vissuta dall'uomo è un sogno illusorio, da cui occorre destarsi entrando in sintonia con l’anima sensibile e invisibile della natura. Ma su questo tema è emblematico il dramma filosofico in tre atti e in versi di Calderon de La Barca – 1600/1684 – intitolato La vida es sueno, cioè la vita è sogno. Per di più il poeta opera con la manifestazione più alta e potente del suono: la parola che crea, la quale dà forma e sostanza al pensiero mercuriale.
Nel passato già i Fedeli d'Amore – Guido Guinizelli, Dino Compagni, Guido Cavalcanti, Francesco da Barberino, Cino da Pistoia, e soprattutto Cecco d’Ascoli con l’Acerba – hanno espresso con parole e versi concetti legati alla Tradizione, impiegando un linguaggio che si articola su un duplice binario semantico: quello essoterico della poesia amorosa e galante del XII e XIII secolo; quello esoterico rivolto alla cerchia ristretta di chi sa intendere il linguaggio ermetico.
Francesco Petrarca ha conosciuto ed in parte adottato questo doppio linguaggio, mentre Dante Alighieri – sia pure in maniera discontinua – ha fatto parte del circolo dei Fedeli d’Amore, propugnando una forma di cristianesimo esoterico. La Divina Commedia prende ispirazione da un precedente testo alchemico arabo, dove si descrive il viaggio spirituale di due pellegrini, guidati da un messaggero celeste, che risalgono le sette sfere planetarie per giungere infine alla visione dell’Assoluto. Inoltre Dante ha approfondito le allusioni alchemiche del Roman de la Rose ed è, probabilmente, l'autore del poemetto anonimo Il Fiore, un suo rifacimento ridotto:.
I Fedeli d'Amore contribuiscono alla rinascita culturale in Italia, sviluppando un nuovo filone letterario, che si esprime in volgare e s’ispira alla poesia provenzale e ai romanzi cavallereschi, mescolandovi concetti gnostici ed ermetici, affini all’eresia catara, molto diffusa ai loro tempi. Come nel sufismo e nella cabala, anch'essi riconoscono che nell'amore tra uomo e donna esiste una forza spirituale trasfigurante, un eros purificato, capace di far trascendere la condizione umana, fino a raggiungere la conoscenza e l'amore dell’Assoluto.
Tramite questa purificazione progressiva la donna - non più oggetto di passioni contingenti, di carnali concupiscenze - è specchio di virtù e celestiale bellezza, su cui si riflette la bellezza e l’armonia dell’universo. All'immagine di Dio, simbolo della arte religiosa del tempo, questi poeti preferiscono l'immagine della donna angelicata, intesa come sapientia suprema, alla quale aspirare e che spesso è in connessione con la conoscenza della natura.
I Fedeli d'Amore hanno rappresentato un fenomeno particolare nella storia della umanità: la comunicazione di un messaggio spirituale segreto attraverso la letteratura. Alcune parole ricorrenti, come nelle opere alchemiche, alludevano a concetti e pratiche, che incontravano l’ostilità della Chiesa. Ad esempio il termine fiore è usato per descrivere il circolo poetico che coltiva l’occulta sapienza; oppure la rosa è simbolo quintessenziale dell’anima umana.
Altri termini che compaiono nelle loro opere sono fontana, fonte, fiume: luoghi simbolici per designare l’origine o il flusso di tale insegnamento e in cui compare sempre la donna amata. I suoi occhi o il suo riso sono le dimostrazioni o le persuasioni della sapienza; mentre l’amore per la donna gentile è lo studio della filosofia ermetica. Nei sonetti dei vari autori l'amata ha nomi diversi: Lucia per Guinizelli – il fondatore del Dolce Stil Nuovo-, Giovanna per Cavalcanti, Laura per Petrarca, Beatrice per Dante, ma il simbolo della donna angelicata esprime sempre la tradizione ermetica.
Con la virtù muliebre si allude all'arte della poesia messa al servizio della iniziazione, mentre con il termine amico ci si riferisce al maestro iniziatore. Invece, l'atto del piangere significa simulare fedeltà alla Chiesa dominante; seguirne i riti e le impostazioni, anche se nella intimità del cuore si rimane fedeli agli ideali poetico/iniziatici del circolo segreto. I termini gaiezza e gaio si riferiscono all’esperienza concreta del sacro e alla felicità, che si ottiene seguendo intuizioni o visioni; mentre a ciò si contrappongono i vocaboli noia e noioso, per rappresentare il vuoto e l’oscurità di chi è al di fuori del percorso iniziatico.
D’altra parte i termini cifrati freddo e vento designano le caratteristiche della forza opposta all'amore. A questi si lega anche la parola gelosia – da gelo – cioè l'infelice, l’ignorante ed il profano. Con vita s’intende l’ideale politico ed iniziatico della cerchia segreta, con morte le correnti politiche e religiose contrapposte.
Per tutti questi letterati, di fede ghibellina, le parole pietra, sasso, marmo, indicano la Chiesa di Roma, forse per sua derivazione da petrus: difatti l'apostolo Pietro è la pietra su cui Cristo ha edificato la prima Chiesa. I vocaboli selvaggio e villano si riferiscono all'uomo che segue i dogmi della chiesa cattolica, in contrapposizione ai membri del circolo, che invece vengono designati come cortesi, gentili.
Nel Cinquecento e nel Seicento noti alchimisti hanno affidato parte del loro insegnamento cifrato a componimenti poetici – non eccelsi ma di maniera o barocchi – come nella Crhysopoeia di Giovanni Aurelio Augurelli, nel poema De la trasmutatione de’ metalli di Antonio Allegretti, nell’Ode Alchemica di Fra’ Marcantonio Crassellame – anagramma di Francesco Maria Santinelli – che tra le rime rivela i fondamenti dell’Arte Regia.
Grandi poeti, da Goethe, a William Blake, a John Keats, fino all’alchimia verbale di Arthur Rimbaud e di Ezra Pound, all’ermetismo poetico di Rainer Maria Rilke, di Giovanni Pascoli, di Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale – per citarne alcuni - hanno contribuito alla diffusione di una poetica che richiama la trasmutazione spirituale. Giacomo Leopardi con l'Infinito e Dino Campana con la Chimera i più recenti antesignani del orfismo poetico.
Nell’alchimia verbale di Rimbaud, attraverso una particolare combinazione di lettere e parole, avviene una trasmutazione del comune linguaggio, in cui si evocano significati nascosti, sottili e assai lontani da quelli apparentemente espressi. In tal modo avviene la stimolazione di una immaginazione attiva, analoga a quella propugnata dagli alchimisti, con la percezione di ciò che è scritto negli spazi bianchi della pagina.
I poeti ermetici della metà del Novecento, così chiamati dai critici per una certa ambiguità delle parole ed una forte concentrazione linguistica, hanno utilizzato espressioni criptiche molto simili a quelle degli alchimisti. I loro versi cercano di fare della parola un momento puro ed assoluto, in cui culminano e si risolvono tensioni esistenziali e conoscitive e dove si dischiude il senso della vita, con una valenza iniziatica più o meno accentuata.
La poetica ermetica rifiuta la parola come semplice atto di comunicazione, ma la dilata nel suo valore evocativo e si muove in uno spazio a-temporale, in cui le linee di forza sono rintracciabili lungo i percorsi intricati e allusivi delle metafore, le quali aprono ad una esperienza fuori del comune, guidata dagli archetipi. Analogamente al gergo alchemico operativo, in cui esiste corrispondenza tra oggetti e sentimenti, la poesia è capace di comunicare sinteticamente intuizioni altrimenti indecifrabili, esperienze ineffabili del corpo e dell’anima.
Per quanto riguarda Giovanni Pascoli, definito dai più il poeta del dolore familiare e della trasfigurazione nostalgica della natura, si deve tener presente che è stato massone ed iniziato, estimatore del messaggio esoterico dei Fedeli d’Amore. La poetica che sta a fondamento del suo simbolismo non è limitata al ristretto stereotipo intimistico e crepuscolare costantemente associato a Pascoli; essa non è legata a scelte solamente estetiche, ma attinge ai miti e all’epica del mondo classico, al simbolismo massonico e della Tradizione.
Pascoli sostiene che il poeta è come un fanciullo, che vede le cose con l'occhio libero dalle identificazioni e dalle abitudini di quello adulto; sa quindi coglierne tutta la carica evocativa, la potenzialità poetica, i significati profondi e misteriosi. Il poeta è l’Adamo che nomina le cose per la prima volta; per cui la sua parola è magica, sacra. Per questo l’artista illumina la realtà e può parlare ad altri uomini che cercano la verità, aiutandoli a scoprire la purezza originaria insita in loro.
Tale concetto richiama al puer eternus – l'iniziato realizzato – il quale, avendo riunito ciò che è sparso nelle forme illusorie della materia, recupera lo stato di uomo integrato, spirituale. Nella sua visione, il poeta è l’archetipo di chi affronta i grandi misteri; spesso suggella con la morte il compimento della sua opera, andando oltre i limiti della individualità umana e sottraendosi definitivamente al mondo del divenire: per gli alchimisti tale concetto indica la coincidenza del IO superiore col Principio.
Il fuoco segreto dell’alchimia – l’eros – è in grado di cuocere e portare a maturazione la materia prima dell’Opera. Esso può essere alimentato dalla poesia e diventare voluttà non toccata dalla libido sensoriale, ma agognante il Bello ed il Vero; è una ebbrezza che si sprigiona ogni qualvolta un verso sfiora l’Assoluto dentro l’uomo, facendogli pulsare il sangue nelle vene, facendogli circolare nell’alambicco del corpo flussi sottili. Ma il fuoco sacro dei Vati non ha nulla a che vedere con lo stato passivo dei mistici, perché è quel calore interno dell'organismo definito dagli alchimisti mercurio vivificato e sublimato, il quale può manifestarsi esteriormente, nella poesia e nella profezia, come potere della parola.
Quando l’immagine allegorica viene purificata e si avvicina all’idea ermetica, la poesia è mezzo di trasmutazione dell’uomo; l’artista raggiunge l’acme di un eros creativo, galvanizzante in maniera del tutto naturale che più e più volte deve essere ripetuto, poiché l’opera poetica va più e più volte distillata, raffinata, sublimata, in una ricerca della perfezione senza fine, nella messa a fuoco della visione illuminante.
Per l’alchimia, l’arte non deve essere soggettiva – come spesso accade – cioè soggetta a diverse e variabili interpretazioni seguendolo stato emotivo e i processi associativi di chi la realizza e la sperimenta; ma deve essere oggettiva ed esprimere ciò che l’artista ha realmente intenzione di creare. Nell’arte oggettiva non deve esserci nulla di accidentale, né nella creazione dell’opera, né nelle impressioni che suscita; ma deve, con intenzionalità consapevole e precisione, trasmettere valori e significati, anche se spesso questi affiorano dai contenuti dell’inconscio collettivo, attraverso una graduale evoluzione interiore dell’artista.
Queste opere sono il prodotto di uno stato di coscienza unitario, integrato allo spirito intelligente e creativo dell’universo, dove la scienza e la metafisica, la filosofia e l’arte non sono antitetiche, ma complementari. Ciò va perseguito a costo di perdere la spontaneità di quella ispirazione poetica che giunge direttamente dall’emozione umorale, dal subconscio individuale, perché essa è ingannevole, fugace, mutevole. Pertanto il verso immediato va levigato più volte, reso secco ed essenziale, fissato in un monumento di pietra, attraverso la mediazione di una sapiente razionalità, frutto di un stato mentale oggettivo.

GIORGIO SANGIORGIO