IL MITO DELLA DEA PERSEFONE
Il testo fondamentale dei Misteri di Eleusi, che ne narra sia il mito sia la fondazione, è l'Inno a Demetra collocato come secondo inno nella raccolta degli Inni omerici. La sua datazione è controversa ma si ritiene sia certamente anteriore almeno alla metà del sesto secolo a.C.
Kore, figlia di Demetra, viene rapita da Ade, dio degli Inferi. Mentre raccoglie dei fiori nella piana di Nysa, insieme alle sue compagne, figlie di Oceano, dal prato fiorito spunta un narciso di straordinaria bellezza. Kore, immersa in un sacro stupore, protende le mani per raccogliere il meraviglioso fiore quando dalla base del narciso si apre una voragine da cui emerge il re dei morti, Ade, che la rapisce. Nel momento del ratto, e fino a che ella scorgeva «la terra e il cielo stellato, il mare pescoso dalle vaste correnti, e i raggi del sole [...] sebbene ella fosse angosciata, la speranza le confortava il nobile cuore...»
Demetra disperata la cercò. Quando si accorse che stava calando la notte le venne in mente di invocare Ecate, che della notte era la signora. Ecate, che aveva sentito le urla di Persefone, fu molto ambigua nella sua risposta, ma le consigliò di recarsi dal Sole al cui sguardo nulla può sfuggire. Vagò ancora per nove giorni senza nutrirsi (di ambrosia,). Helios decise quindi di raccontarle l'accaduto: Zeus, il re degli dei, aveva concesso Kore in sposa al fratello Ade che quindi l'aveva rapita.
Ancora più addolorata, e ora anche furente nei confronti di Zeus, Demetra rifiutò quindi di tornare sull'Olimpo e, trasformatasi in una vecchia, si recò a Eleusi sedendosi vicino al Pozzo delle Vergini. Le figlie del re di Eleusi, Celeo, recatesi al pozzo, la interrogarono su chi fosse e da dove venisse. Demetra rispose di chiamarsi Doso e raccontò loro di essere sfuggita ai pirati che l'avevano rapita nei pressi di Creta. Mosse a compassione, le figlie di Celeo la invitarono quindi a palazzo per fungere da nutrice a Demofonte, l'ultimo figlio della regina Metanira, sposa di Celeo. Demetra entrata nel palazzo del re di Eleusi si sedette in disparte su uno sgabello, restando per molto tempo silenziosa e con il volto velato, fino a che la serva Iambe riuscì a farla sorridere con i suoi scherzi. Metanira offrì quindi del vino a Demetra la quale rifiutò chiedendo invece del "ciceone", una bevanda composta da orzo tritato, acqua e rigorosamente mescolato con un rametto di menta.
Demetra non allattò Demofonte, ma segretamente lo massaggiava con l'ambrosia, immergendolo (κρύπτεσκε, coprendolo) di notte nel fuoco; questa operazione trasformava lentamente il figlio di Celeo in un dio, in un immortale eternamente giovane. Ma la madre Metanira scoprì Demetra mentre immergeva Demofonte nel fuoco e si spaventò. Allora Demetra cessò l'opera di trasformazione in dio dell'infante e, manifestandosi come dea abbagliante a Metanira, accusò l'umanità di essere stolta.
Ora Demofonte non può più divenire un dio, ma Demetra, lasciando il palazzo, chiese a Metanira di ergerle un santuario con un altare da dove ella potesse insegnare i suoi riti agli uomini. Edificato il santuario, Demetra vi si rifugiò e, ancora adirata per la scomparsa della figlia, cui nel mito viene dato ora il nome di Persefone, da lì provocò un'aridità che desolò tutta la Terra, generando carestie e impedendo così agli dei di ricevere sacrifici dagli uomini. Vanamente Zeus le inviò dei messaggi per farla tornare sull'Olimpo. Demetra gli rispose che sarebbe risalita sul monte degli dei e avrebbe posto termine alla carestia solo qualora avesse potuto rivedere la figlia. Zeus si convinse quindi a intimare ad Ade di restituire la figlia alla dea, ma Ade, prima di rispettare l'ordine del re degli dei, fece inghiottire a Persefone un chicco di melograno, il cibo dei morti. Secondo alcune versioni non fu costretta, ma lo fece volontariamente perché si era affezionata ad Ade. Per questa ragione Persefone fu costretta a ritornare presso il re degli Inferi per una parte dell'anno. Demetra ordinò che nei mesi in cui Persefone fosse stata negli inferi, la natura sarebbe stata addormentata e fredda, mentre nei restanti mesi in cui era con lei la terra sarebbe rifiorita.
Ritrovata la figlia, Demetra acconsentì a rientrare sull'Olimpo, ma non prima di aver insegnato i suoi Misteri a Diocle, Trittolemo, Celeo ed Eumolpo. Immediatamente dopo il ritorno di Persefone sulla terra, come recita l’inno, “la regina Ecate divenne colei che precedeva e seguiva Persefone”. Dal momento del ratto, il viaggio si ripeterà ogni anno, e per ogni anno Ecate farà da scorta alla figlia di Demetra.
SIMBOLI E SIGNIFICATI
Il mito di Demetra e Persefone racconta in modo ammaliante e seducente l’alternanza delle stagioni dell’anno ed è in grado di rivelare il mistero della vita e della morte della natura che appassisce salvo poi rifiorire a primavera. Ma rappresenta anche un tenero archetipo del legame tra madre e figlia, questa leggenda ha di singolare l’accento posto sul legame familiare tra la materna Demetra e la sua adorata figlia Persefone.
Il mito ci presenta Madre Terra come unico elemento di stabilità, la speranza di fecondità e rinascita non è connessa alla sola esistenza della Dea Madre, ma al suo riunirsi alla figlia. Mostra come la terra ami e consumi la sua vegetazione,
La continuità tra madre e figlia allude a quella tra la morte e una eventuale rinascita, indica che sono due aspetti di un unico processo che, in quanto universale ed eterno, assicura la continuità dell’identità di ogni essere umano, non più legata ai vincoli spazio-tempo. La storia della giovane è allusione alla vita stessa del seme. Come ogni anno Persefone trascorre alcuni mesi nel regno sotterraneo, così il seme deve essere seppellito sotto terra. Quando poi la fanciulla torna alla luce del sole, così fa anche il germoglio. Entrambi torneranno in vita a primavera. La morte può non essere una definitiva scomparsa, ma il passaggio ad una immortale sopravvivenza: il seme gettato nell’oscurità della terra non muore, non cessa di esistere solo perché non lo vediamo, ma si prepara al suo rito di passaggio che lo condurrà a nuova vita nella spiga di grano.
Per quanto riguarda il narciso, mito e scienza si incontrano perfettamente dato che è un fiore allucinogeno da cui deriva la parola narcotico. Tutti poi sanno cosa è il narcisismo e quindi indirettamente quanto in bilico si metta una brava ragazza, che invece di raccogliere zafferano per la mamma si lasci distrarre da tale fiore.
L’irreparabile però è compiuto dal frutto del melograno, simbolo di fecondità e sessualità. Il fatto che Persefone avesse accettato il melograno da Ade significava che sarebbe tornata da lui di propria volontà. Questi chicchi di melograno ci ricordano che ciò che ci conduce alla morte è la frammentazione, il potere delle identificazioni e delle proiezioni, Dall’altra parte dopo il passaggio nell’Ade “mangiare i chicchi” potrebbe significare riunire ciò che è disperso, riunendo il corpo smembrato, come quello di Dioniso, e facendolo rinascere. Secondo altre interpretazioni, il frutto che nel mito stabilisce il contatto con il regno dell'oltretomba non è il melograno, ma a causa delle sue virtù narcotiche e psicotrope l’oppio, la cui capsula è peraltro straordinariamente simile (tranne le dimensioni, che sono più ridotte) proprio al frutto del melograno. Demetra viene anche rappresentata con in mano un covone di grano e con dei papaveri e ciò darebbe ulteriore conferma a quest’ultima interpretazione.
Si noti che nei miti, quando appaiono tre divinità, queste rappresentano aspetti diversi della stessa forza. Dalle caratteristiche delle tre dee potremmo desumere che si tratti di aspetti diversi della forza femminile Dea Madre o Madre Terra: Persefone è il seme nascosto nel terreno, Kore è il grano in erba, Demetra è invece la spiga matura.
Ecate accompagna Persefone (il seme) nell’oscurità e lo stesso fa quando torna in superficie, comparendo nei punti cruciali della storia. Era anche l’unica testimone della scomparsa di Kore e questo potrebbe far pensare che rappresenti l’influenza della luna sulla vegetazione. In base alle diverse fasi lunari i nostri nonni, e ancora oggi la maggior parte dei contadini, stavano ben attenti a cosa seminare o raccogliere per avere dei buoni risultati.
D’altra parte Demetra – la Madre Terra – non poteva non sapere cosa stava succedendo sulla sua superfice (una voragine che si apre) e quindi riteneva il ratto necessario per l’evoluzione della figlia. Il suo incontro con Ecate potrebbe anche far pensare ad un altro suo aspetto: la terra fredda e addormentata, con cui Demetra cerca di mettersi in contatto con il proprio inconscio per avere informazioni nascoste.
Il mito di Demetra e Persefone, come tutti i miti, nonostante li si racconti da secoli e nonostante l’apparente semplicità, riconferma la sua atemporalità, la sua capacità di parlare all’uomo di ogni epoca e di ogni età, poiché parla all’anima le cui necessità, nonostante il trascorrere dei secoli e dei millenni, rimangono immutate. Ci conferma inoltre la validità del linguaggio simbolico e la sua enorme potenzialità nel trasmettere il suo significato universale, che seppur trasmesso con parole e forme differenti, mantiene intatto il suo messaggio originale. Ci insegna a condurre la nostra esistenza rispettando le leggi della natura, in particolare la ciclicità e l’avvicendarsi delle stagioni costituiscono l’esempio di come dobbiamo essere in grado di rinnovarci e di migliorarci. Vinci natura secondo natura
BARBARA MARCHESINI
CONSIDERAZIONI SUI SACRI MISTERI
La cultura attuale, quale espressione della società contemporanea, allontana l’individuo dalla conoscenza dell’essenza appartenente ai Sacri Misteri.
Di converso gli offre la certezza delle proprie illusioni fondata prevalentemente su una visione edonistica della vita e sulla celebrazione del consumismo.
Lo scenario è ben visibile attorno a noi specie se vi guardiamo con occhi disincantati.
Ma avere uno sguardo disincantato non è cosa semplice perché presuppone la capacità di liberarsi dall’incanto del quotidiano e dagli incantesimi continui che ne derivano.
Una capacità difficile che richiede consapevolezza e forza per vivere un cambiamento esistenziale dove i valori ed i legami acquisiti dati per certi perdono la loro centralità e validità. Una sorta di iridata bolla di sapone che improvvisamente svanisce lasciando in chi la guardava un senso di abbaglio, di mancanza oppure un senso di silenzio e di libertà. Quali di questi aspetti avrà il sopravvento? Ovviamente a ciascuno la sua storia.
Di fatto, l’incanto è una esperienza di infinito se lo si vive con la mente sufficientemente libera mentre diventa una esperienza di dipendenza e di illusioni se è vissuto come attrazione inconsapevole verso la forza oscura della seduzione, forza che ha il potere di legare e di impedire di essere realmente sé stessi.
Parlare oggi di Sacri Misteri è difficile.
Occorre ritrovare e coltivare il genuino anelito alla ricerca, e questo implica l’ascolto o più precisamente la capacità all’ascolto. E poi, per poter ascoltare occorre non essere distratti, distratti da ciò che avviene in noi e fuori di noi per cui il silenzio è esercizio o buona pratica da perseguire. Intendendo per silenzio quella modalità di relazione in cui si è con se stessi e con gli altri con un comportamento o meglio con un ascolto distanziato, imparando a modulare il “volume dei suoni” specie per quanto riguarda l’area emozionale.
E nel silenzio le cose avvengono.
Inoltre la capacità all’ascolto non richiede solo un buon udito ma la capacità a riconoscere la relazione e più precisamente il legame che si crea, legame che riguarda l’altro o gli altri da me. Diversamente non vi è ascolto. E nel legame che si crea tramite l’ascolto vi è parte del tutto, sia esso naturale che umano.
Per accedere a questo stato particolare occorre familiarizzare con uno dei guardiani delle tante soglie da varcare che si incontrano nel cammino.
Si tratta del guardiano del Tempo, una emanazione del vecchio Saturno, che servendosi delle tre Parche ci tiene legati al filo teso della nostra esistenza. Filo lineare, tenuto da un capo all’altro e che può essere tagliato in qualsiasi momento.
Lungo questa linearità temporale e ben stretti ad esso viviamo spesso frettolosamente perdendo il significato del silenzio, del sacro, del mistero e dell’unicità.
Il mito, le fiabe ci vengono incontro quando parlano di fatti che avvenivano in “illo tempore” o quando raccontano che “c’era una volta…”., ma anche il sogno quando ogni notte, sognando, ci fa entrare nell’unicità temporale.
E’ un tempo che si perde lontano nell’antichità del mondo e dei suoi simboli, ma anche nel presente. E’ un tempo che rimanda ad uno stato di sospensione e di appartenenza ad una dimensione che sfugge dalle categorie mentali e logiche in cui siamo cresciuti e siamo stati formati. E’ un tempo che attinge all’altra conoscenza di cui il nostro pensiero è portatore. E’ la conoscenza che si avvale della analogia, della somiglianza senza nessi causali, della metafora, dell’intuizione. E’ quella conoscenza che consente l’accesso a una realtà più espansa, dilatata, sottile dove è possibile avvicinarsi e comprendere i Sacri Misteri.
I Sacri Misteri sono stati di coscienza fuori dall’ordinario in tempi e luoghi unici, chiamiamoli così, dove chi vi partecipa è soggetto e oggetto contemporaneamente di quanto sta avvenendo. E solo se “il miste”, l’iniziato, è in grado di accogliere la parola nel suo suono evocativo e immergersi “in illo tempore” ed in altro luogo, il Sacro Mistero si realizza.
Il Mistero è una esperienza intima e unica che va vissuta lucidamente, ma che non si può spiegare semplicemente perché non si riesce a spiegare e pertanto la parola, che serve a comunicare, termina qui la sua funzione. Ne consegue che il Mistero va tenuto segreto dal singolo iniziato o dal ristretto gruppo dei partecipanti ad esso, semplicemente in quanto è qualcosa di indicibile e parlare di cose indicibili non ha senso né per chi ascolta, né per chi ne parla. A chi vi ha partecipato rimarrà impressa in modo indelebile unicamente “la lucidità dell’esperienza”.
Nel Mistero si partecipa ad una esperienza di conoscenza enstatica dove gli aspetti della conoscenza razionale sfumano per unirsi a quelli della conoscenza intuitiva, creando una conoscenza unica che è quella misterica di unione e fusione con l’Uno, realizzando l’antica Ierogamia.
Il parlarne o lo scriverne in modo essoterico e divulgativo ha una funzione circoscritta e riduttiva, a volte deviante rispetto alla essenza dei Sacri Misteri. Inoltre il motivo della loro divulgazione, nelle svariate forme e modalità, andrebbe quanto meno contestualizzato entrando nelle specifiche argomentazioni, spesso a valenza personale, di chi le effettua, argomentazioni che non sono sempre trasparenti ed in sintonia con una autentica tradizione iniziatica.
E' soprattutto nelle celebrazioni rituali dell’Equinozio di Primavera, attraverso il mito di Demetra e di Persefone che i Misteri di Eleusi racchiudono, è offerta la possibilità di iniziare a percorrere il lungo corteo che conduce al Tempio.
Il tempio esterno non vi è più, sono rimasti alcuni reperti archeologici unitamente a tracce degli antichi rituali di difficile comprensione. Ritornando alla Memoria dell’Eterno Presente è possibile “ri-flettere” nel riverbero dell’antica conoscenza misterica e ritualmente viverla in ciascuno di noi.
DANIELA MORETTO