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LA TRAGEDIA GRECA COME RITO ARTISTICO E INIZIATICO

La tragedia era evento sacro collegato a una delle più importanti feste religiose ateniesi: Le Grandi Dionisie. Oltre che l’occasione, anche lo spazio in cui venivano rappresentate era sacro: a partire da Eschilo le tragedie venivano rappresentate nel santuario di Dioniso Eleuthereo.
Tracce di questa origine sacra si trovano in alcuni elementi tecnici, scenici, che qualificano il teatro come dramma sacro:
- il theologhéion, che è luogo deputato all’apparizione degli dei: il tetto della skené o una sopraelevazione vicina.
- la presenza di statue e altari o templi in molte delle tragedie: per es.: statue di varie divinità in Eschilo Sette contro Tebe, Supplici Eumenidi (qui siamo nel santuario di Delfi); Apollo in Elettra, e Edipo re di Sofocle; e Edipo a Colono, che è ambientata in una zona sacra ed è dramma sacro.
- La mechané o ghéranos, sorta di gru che consentiva l’apparizione di figure alate o volanti, spesso divinità, per esempio: Oceano in Prometeo pseudoeschileo; in Euripide: Tetis in Andromaca; Castore e Polluce in Elettra; Apollo in Oreste; e forse Artemide in Ippolito; Athena in Supplici, Ifigenia in Tauride, Ione.
Tutto, dunque, era pieno di Dei, nella tragedia, e sarebbe divertente vedere, magari per via elettronica, quante volte ricorrono citazioni di divinità, luoghi sacri, azioni sacre, per la gioia dei catalogatori e degli statistici.
Dunque la tragedia non è gesto politico o antropologico o azione estetica, o laicizzazione del mito, ma dramma sacro inserito in un contesto sacro, pullulante di divinità.
Ascoltiamo a questo punto Burchardt (Storia della civiltà greca, Firenze 1974, pp.1140 ss):
“Certo con tutte le nostre notizie isolate non si riuscirà mai a penetrare il mistero dell’origine e del graduale sviluppo della tragedia. È come se il ricordo degli stadi primitivi fosse stato cancellato con ogni cura. Ma senza un possente respiro, il dramma non sarebbe mai giunto a crearsi quella sua monumentalità, per cui divenne e restò patrimonio di un intero popolo; esso proviene dalla grande esaltazione dionisiaca, compare in grandi proporzioni, si rivolge a un vastissimo uditorio ed è una conquista specificatamente greca: i Persiani, gli Ebrei e in genere l’antico Oriente non ebbero dramma, forse perché non avevano la capacità di reggere fino in fondo il contrasto che il dramma rappresenta; e il dramma indiano, che nel suo svilupparsi dal culto di Visnu e dalla musica avrebbe molta analogia con quello greco, è sorto più tardi di questo e forse sotto la sua influenza”.
“Ma l’impetus originario e decisivo, che dovette essere necessario al dramma, gli venne solo dal culto dionisiaco e dal suo mondo di sentimenti. Il dramma, inizialmente dionisiaco, poi dedicato a tutto il mito, sboccia in modo del tutto inatteso dalla musica e dal canto corale di culti dionisiaci di misteriosa potenza, come da una ricca aiuola uno splendido fiore apparentemente straniero”.
“Com’è noto, il canto corale che ne costituiva la più antica base e la parte essenziale apparteneva alla classe del ditirambo: secondo Aristotele tutta la tragedia ebbe origine dai primi cantori del canto ditirambico (apò tón exarchónton tòn dithýrambon). Ma il ditirambo era un canto rivolto a Dioniso, che in un primo tempo veniva cantato senza un ordine preciso dai convitati ubriachi di un banchetto festivo, ma dopo Arione fu recitato con tutte le regole dei cori”.
“Il primo passo verso il dramma pare sia avvenuto quando il corifeo, o in aspetto di Dioniso stesso o in aspetto di un suo messaggero, si diede a narrare la storia del dio, soprattutto le sue pene (páthe) mentre il coro prendeva le vesti e gli atteggiamenti dei Satiri, nella gioia come nell’orrore”.
“Ad ogni modo ai tempi di Pisistrato si ebbe la grande innovazione di Tespi (verso il 536 a.C.), ossia al coro venne contrapposto un antagonista (hypokrités), che appariva successivamente in diverse maschere, ossia, come spiega O. Müller, in una tragedia questo antagonista compariva come Dioniso, come Penteo e come messaggero”.
Di qui alla struttura della tragedia quale ci compare già con Eschilo, il passo è breve.

“Ora, se vogliamo farci un’idea dell’aspetto della tragedia al culmine del suo sviluppo, si deve partire dalla considerazione che essa non vuole essere né una completa e viva immagine della vita, né la sua rappresentazione allegorica; essa è un momento culminante delle cerimonie dionisiache e dello stato d’animo che in esse si sviluppa….”.
La tragedia è “… la thyméle, il venerabile punto dove si incontravano il dramma e le antiche cerimonie dionisiache. Originariamente essa era l’altare di Dioniso, che il coro nel ditirambo circondava danzando, e col tempo divenne il centro del coro tragico, secondo le circostanze serviva come héroon, terrazza con altari, sepolcro”.
La tragedia è anche “un rito profanato”, dice Artaud, a proposito dell’impressione che suscita il teatro balinese; “un rito profanato”, proprio come per Eschilo che fu accusato di aver profanato i Misteri Eleusini, stando a quel che dice Aristotele: “Ma uno può ignorare ciò che fa, per esempio …..oppure dicono di non sapere che si trattava di cose segrete e ineffabili, come disse Eschilo riguardo ai misteri”; e come conferma il suo scoliasta, il quale sosteneva che Eschilo “fu accusato di aver divulgato i Misteri Eleusini attraverso certe dichiarazioni delle sue tragedie”.
Il trait d’union più evidente tra la celebrazione dei Misteri Eleusini e la tragedia greca, è comunque rappresentato dalla figura di Dioniso. La centralità di Dioniso nella tragedia, è stata rilevata da Nietzsche, ne La nascita della tragedia e da Jacob Burhardt nella sua Storia della civiltà greca’
Ascoltiamo Giorgio Colli:
“Dice Pindaro dei Misteri Eleusini: ‘beato colui che, avendo visto quello che entra sotto la terra, conosce la fine della vita e conosce il principio dato da Zeus’. Chi rivela ‘quello’ – l’indicibile oggetto che nei misteri l’uomo trova dentro di sé – è Dioniso, e Orfeo ne è il cantore. I più antichi documenti orfici, papiri e laminette funerarie del quarto, terzo secolo a. C., sono una traduzione poetica, accidentale, non letteraria, dell’evento misterico, il cui prodursi interiore è rimasto nascosto, sottratto a ogni tradizione, ma il cui quadro scenografico, con gli oggetti rituali e le azioni che lo accompagnavano, poteva essere restituito dalle parole farneticanti di una poesia simbolica. Stupefacente è la forma drammatica che assumono alcuni di questi documenti orfici, quasi che appartenesse fin dall’origine al rituale misterico, o almeno si accompagnasse ad esso, un’azione tra personaggi, una rappresentazione sacra. Nelle laminette funerarie troviamo un dialogo tra l’iniziato e l’iniziatore ai misteri: nella progressione di questo dialogo si proietta il riflesso della conquista della visione suprema. E forse questo aspetto teatrale, drammatico dei misteri ci offre un’altra via per esplorare l’origine della tragedia greca. Con tale ipotesi si accorda del resto assai bene la notizia di un processo contro Eschilo per aver profanato i Misteri Eleusini: come, se non attraverso le sue tragedie, gli sarebbe stata possibile una tale ampia divulgazione?”
E ancora Colli:
“In Grecia la tragedia è un’invenzione dell’esperienza misterica; ciò si verifica, all’origine, con un tentativo di estendere esotericamente quest’ultima. A Eleusi l’estasi degli iniziati genera la visione, l’allucinazione conoscitiva. Tale visione, espressa dall’individuo nella costruzione dell’arte, realizzata come evento, rappresentata di fronte a un pubblico più vasto, diventa il supporto per un cammino inverso, per la riconquista dell’invasamento collettivo, matrice di entrambi i fenomeni, la cui estasi è al di là dell’antitesi tra gioia e dolore, non è conoscenza, ma si traduce nella conoscenza”.
Ecco che l’indagine sul théatron ci conduce alle soglie del luogo delle iniziazioni, lungo la via sacra che conduce a Eleusi.
Esistevano tre gradi di iniziazione:
1) la mýēsis, iniziazione ai Piccoli Misteri di Agra
2) la teleté, rito preliminare ad Eleusi
3) l’epoptéia, visione suprema, rito a cui soltanto pochissimi venivano ammessi l’anno seguente, dopo il passaggio dei primi due gradi.
Per quanto riguarda il secondo e il terzo livello dell’iniziazione, abbiamo notizia di:
1) legómena, cioè cose dette:
α)una dottrina misterico-iniziatica: “e d’altra parte nulla di meglio di quei misteri, che ci hanno affinati e addolciti da una vita rozza e feroce a una cultura umana – e le iniziazioni, come vengono chiamate. Così in verità abbiamo conosciuto i principi della via, ed abbiamo ricevuto la dottrina del vivere non solo con letizia, ma anche con una speranza migliore nella morte” (Cicerone, de leg. 2 14, 36, trad. Colli).
β) intonazione di inni orfici: “E chiunque si sia già occupato di studiare la poesia, sa che gli inni di Orfeo sono singolarmente assai brevi, e che in complesso non raggiungono un numero elevato. I Licomidi peraltro li conoscono e li intonano come accompagnamento agli eventi dei misteri”. (Pausanias, 9 30, 12, traduzione di Colli).
γ) formule rituali: “E la formula rituale dei misteri eleusini è questa: ho digiunato, ho bevuto il ciceone, ho preso dalla cesta, dopo di aver maneggiato ho riposto nel canestro, e dal canestro nella cesta” (Clemens Alexandrinus, Protr. 2 21, 2 trad. Colli). Che cosa viene preso dalla cesta, maneggiato, riposto nel canestro e poi passato dal canestro alla cesta? Secondo Giorgio Colli si tratta della riproduzione di un organo sessuale femminile. Secondo altri di una spiga. In ogni caso è un simbolismo legato al culto della Grande Madre Demetra. E la spiga e la vulva non differiscono di molto nella forma. Ippolito dice che “gli Ateniesi, nell’iniziazione di Eleusi, mostrano a coloro che sono ammessi al grado supremo il grande e mirabile e perfettissimo mistero visionario di là: la spiga di grano mietuta in silenzio” (trad. Colli). “Lo ierofante in persona … che si è reso impotente con la cicuta e si è staccato da ogni generazione carnale, di notte a Eleusi, in mezzo alla luce delle fiaccole, nel compiere il rituale dei grandi e ineffabili misteri, grida e urla proclamando: Brimó Signora ha generato il sacro fanciullo Brimós. Colli sostiene che si tratta dello hieròs gámos tra lo ierofante di Eleusi, che rappresenta Zeus, e Persefone (Brimó) da cui nasce il sacro fanciullo Dioniso, di cui Brimó è epiteto. Inoltre vi erano phonái, voci associate a mystikà theámata, visioni mistiche, e akóusmata hierá: suoni sacri.
2) deiknýmena, cose mostrate : la spiga vulva.
3) drómena), le cose fatte, i riti: il rito della vulva-spiga, che si associa a quello del ciceone, che viene preparato e somministrato agli iniziati; un rito di morte (“E giunta alla morte, l’anima prova un’emozione come quella degli iniziati ai Grandi Misteri. Perciò, riguardo al morire-teleután e all’essere iniziato-teléisthai, la parola assomiglia alla parola, e la cosa alla cosa” e di rinascita (la nascita di Brimó).
γ) un percorso erratico e vertiginante, che destruttura i livelli di coscienza ordinari: “Anzitutto i vagabondaggi (plánai), i rigiri logoranti, e certi cammini senza fine e inquietanti attraverso le tenebre. In seguito, proprio prima della fine, tutte quelle cose terribili, i brividi e i tremiti e i sudori e gli sbigottimenti”
δ) rappresentazioni drammatiche, probabilmente di ispirazione orfica, che consistevano in dialoghi tra l’iniziatore e l’iniziato, forse anche in rappresentazioni della passione di Dioniso, o del mito di Demetra-Kore-Persefone, ivi compresa la nascita di Dioniso-Brimó. Se la figura di Dioniso era centrale – e lo era – nei Misteri Eleusini, non posiamo escludere che comparissero oggetti rituali associati al dio:
“un solo Dioniso, contrassegni
……….dio nel grembo
…..ho bevuto fredda …asino pastore di armenti
…..formula: sopra sotto ..
…..e ciò che ti fu concesso profondere
…..gettare nel paniere
…..pigna trottola dadi
…..oppure specchio” (Rituale dei misteri, F 31K Papyri fragmentum, saec. III a. Chr.).
Qui si fa riferimento al paniere e a oggetti rituali: pigna (kónos), trottola (rómbos), dadi (astrágaloi), specchio (ésoptros). E molto probabilmente, dovremmo aggiungere il phállos, ovvero riproduzioni dell’organo sessuale maschile che comparivano nei cortei dionisiaci. Non è il caso di segnalare l’altissima densità simbolica di questi oggetti: la trottola, immagine dell’energia vitale primaria, i dadi, simbolo della casualità e giocosità che governano la connessione degli eventi nella visione dionisiaca del mondo; lo specchio, immagine principe della consapevolezza e della riflessione.
Lo sfondo dionisiaco dei Misteri ci obbliga anche a ipotizzare la presenza di danze estatiche e trance guidate ed evocate da sciamani o ierofanti: ché sciamani erano i sacerdoti, o meglio le famiglie sacerdotali di Eleusi.

Riguardo al legame che unisce il dráma con i Misteri Eleusini, sappiamo che la tragedia greca di Eschilo - il più arcaico tra i tragici - ne costituiva una profanazione, ovvero un tentativo di divulgazione essoterica; sappiamo inoltre che a Eleusi, ai livelli alti dell’iniziazione, si realizzavano drómena (dalla stessa etimologia drán che compare anche in dráma), cioè accadimenti, eventi, azioni fatte accadere o eventuate, in relazione al mito di Demetra e Kore, ma anche a temi orfici, e a riti dionisiaci. E ad altro. Il rito stesso era un dráma, e la funzione dei drómena era psicotropica, cioè mirava a volgere la psiche in direzione di uno stato di coscienza che consentisse l’esperienza della luce. Perché tale funzione potesse esercitarsi, gli iniziati dovevano compiere di persona il drómenon, o trovarsi in uno stato di totale inerenza ed empatia quando esso veniva agito dallo iatromante o dagli iatromanti, dotati di poteri sciamanici.
Ma qual è lo stato d’animo che si sviluppa nelle cerimonie dionisiache, e che la tragedia esprime? In che cosa consiste, al di là della lezione di Nietzsche, la dimensione iniziatica della tragedia greca? Nella VIVENTE CONTEMPLAZIONE DEL MISTERO DI VITA E MORTE.
Vivente, perché a differenza della pittura o della poesia o di altre arti, il mezzo espressivo è l’uomo stesso in carne, ossa, respiro, anima.
Contemplazione: lo spettatore-mirans è occhio contemplante, testimone, di ciò che in termini di vita e morte accade. E anche il Coro è occhio interno all’evento stesso, a sua volta guardato. È lo stesso procedimento che si rintraccia nella meditazione di presenza mentale della tradizione d’Oriente, ma in più c’è la vivente energia delle passioni. Il dionisiaco appunto.
Del mistero della vita e della morte: perché la tragedia greca non offre soluzioni alle domande che l’esistenza ci pone, ma ci rivela la natura enigmatica dell’Origine. Si pensi alle Baccanti di Euripide.
Certo, si tratta di un’operazione essoterica, di una divulgazione dei Misteri Eleusini, la cui epopteía era costellata da ben più mistiche o metafisiche visioni. Ma a chi sappia guardare ad essa, la tragedia greca si rivela momento iniziatico, intreccio di rito e cultura, paradigma fondamentale di ogni teatro iniziatico.
In Aristotele - Poetica 1449 b24-28 - troviamo la celebre definizione della tragedia come kátharsis. Non credo che debba essere intesa come una purga emozionale dopo la quale, come dopo una purga anale ci si sente meglio, alleggeriti, come sostiene Di Benedetto , e dunque ha funzione di integrazione nella società, perché terapeuticamente scarica le tensioni. In realtà la catarsi è una terapia, ma dell’anima, perché consente la purificazione da pietà e terrore che nascono da Pólemos, da Néikos, dal conflitto, e dunque è azione sapienziale orficoeleusina, iniziatica, rispetto ai pathémata (sarebbe interessante vederne la relazione con Asclepio, di cui per altro Sofocle era sacerdote, e il centro di terapia sacra dell’anima e psicosomatica di Epidauro, in cui c’era uno dei teatri più grandiosi della grecità).
Nell’ambito della funzione catartica in senso esteso è da collocare anche la chiusura in chiave comica delle tetralogie, con i drammi satireschi: il riso liberatore, come quando la vecchia Iambe esibisce i genitali a Demetra affranta per la perdita di Kore, allude a una sacralitàben diversa da quella cristiana, e più vicina a certo dramma orientale che narra le vite degli dei anche in chiave allegra o comica (in India, nel No), e che rimanda alla natura complessa, biunivoca, di Dioniso, che è il dio della tragedia: l’amore per la gioia, l’estasi, la transe, lo scatenamento trattenuto dei sensi, il vino del Dioniso bacchico, e la contemplazione, il distacco, lo specchio del Dioniso orfico, che conduce dalla vita oltre la vita: through-beyond, in una forma di trans immanentismo che ha radici profonde in tutta la sapienza greca.

ANGELO TONELLI