E’ da precisare che l’alchimia - soprattutto quella spirituale - non ha mai ricercato la ricchezza materiale con la produzione dell’oro, come invece è ritenuto nell’immaginario collettivo o scritto in pubblicazioni divulgative. D’altra parte l’alchimia metallurgica ha ricercato la pietra filosofale nell’ambito di una particolare sperimentazione, che dalla fisica passa gradualmente alla metafisica, sul presupposto che nello stato minerale - più semplice da manipolare rispetto a quello animale - si possano più facilmente controllare i processi di trasformazione ed estrarre i principi essenziali della natura.
Il paradigma della maturazione dei metalli imperfetti o crudi nell’oro perfetto deriva da una concezione mitica della terra: genitrice universale anche sul piano geologico. Nelle tradizioni più antiche la terra è una madre viva e tutto quanto produce è altrettanto vivo e fecondo: animali, piante, pietre e minerali. Pertanto i metalli racchiusi nelle viscere della terra ed estratti dalle miniere sono assimilati ad embrioni, ad esseri viventi in lentissima maturazione. Parimente le operazioni metallurgiche con forni e crogioli, in analogia con quelle agricole per la germinazione del seme, sono considerate artifici per abbreviare i tempi naturali di crescita dell’embrione minerale.
Di reali trasformazioni di metalli in oro, ottenute con la pietra filosofale, si parla spesso nei testi alchemici, anche con dovizia di particolari; ma non è dato di sapere, mancando prove storiche certe, se si tratta di suggestive metafore per descrivere processi interiori, oppure di fenomeni fisici prodigiosi, indotti dalla trasmutazione spirituale dell’operatore. Occorre aggiungere che in passato non vi erano strumenti per saggiare con precisione l’autenticità dell’oro e che ai primi alchimisti interessava trasformare i metalli grossolani in leghe metalliche più raffinate e duttili, simili all’oro per peso e colore, resistenti all’ossidazione e che potevano lavorarsi in lamine o fili sottili.
In passato la pietra filosofale è stata utilizzata, con alterne fortune, nel campo della terapia. Di fatto era una polvere metallica, che veniva sciolta in svariati liquidi alcolici - acque di vita - da medici o speziali più o meno seri, nel tentativo di ottenere il cosiddetto oro potabile o elisir: un farmaco universale, capace di guarire ogni malattia e di prolungare la vita.
Gli antichi manuali, che descrivono le tecniche per la produzione di tali farmaci, sono di difficile interpretazione e spesso comprendono sostanze tossiche come l’antimonio o il cinabro; quindi le relative operazioni di laboratorio vanno praticate con estrema cautela perché, senza la conoscenza dei relativi dosaggi, possono causare ai pazienti malattie o disturbi gravi. Non minore esperienza richiede l’alchimia verde, che estrae la quintessenza vegetale con procedimenti che potenziano le virtù medicinali delle piante, come nell’attuale erboristeria si ricavano i principi attivi.
Nel passato sedicenti alchimisti hanno preso alla lettera il linguaggio criptico dei trattati riguardanti la produzione dell’oro e speso la loro esistenza in un sterile lavoro col crogiolo, per cercare soltanto la ricchezza materiale; ma i veri alchimisti li chiamavano, con disprezzo, soffiatori di carbone o 'farfalle affumicate'. A partire dal Rinascimento tutti i regnanti d’Europa ospitavano a corte un alchimista - insieme ad indovini, artisti e saltimbanchi - con la speranza di aumentare i propri depositi d’oro.
A Praga, nella seconda metà del Cinquecento, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo aveva al suo servizio più di duecento alchimisti; ma alcuni fecero una brutta fine. Infatti i soffiatori erano spesso torturati o imprigionati, sia perché rivelassero i segreti dell’Opera, sia perché non erano in grado di mantenere la promessa di arricchire i loro finanziatori. Accusati di produrre oro contraffatto, molti venivano processati per truffa e messi alla gogna con vesti dorate, oppure impiccati con un cappio dorato.
Occorre ammettere che l’intuizione alchemica del perfezionamento dei metalli è risultata scientificamente corretta. Con acceleratori lineari di particelle, o ciclotroni, nella seconda metà del XX secolo sono stati effettuati numerosi esperimenti che hanno prodotto apprezzabili quantità d’oro, modificando la struttura atomica di metalli non preziosi. Il primo esperimento avvenne nel 1941 ad Harvard, quando alcuni fisici bombardarono i protoni di 300 grammi di mercurio.
In queste operazioni sono impiegate altissime energie, con apparecchiature inimmaginabili nei secoli precedenti. Per rendere credibile l’affermazione degli alchimisti di produrre oro, occorre ipotizzare un'alterazione della dimensione ordinaria della realtà fisica o la conoscenza di una tecnica meno complicata, con l’impiego delle basse energie disponibili in natura, come sembra avvenire in alcuni processi metabolici degli esseri viventi.
Un'altra conferma sembra giungere da alcuni ricercatori nel campo della fisica sperimentale, attualmente isolati dalla scienza ufficiale. Questi affermano di ottenere risultati apprezzabili nel campo della fusione fredda dei nuclei atomici, senza le enormi e costose energie della fusione calda, in più evitando le relative scorie radioattive. Si sarebbe sperimentato che la fusione fredda in una cella elettrolitica determina la trasformazione di elementi chimici in altri elementi, ad esempio nuclei di elio. Essa produrrebbe una grande energia, che tuttavia non può ancora utilizzarsi a scopi pratici, dato che si sviluppa troppo velocemente ed è assorbita dalla materia circostante o dispersa sotto forma di radiazione.
La fusione fredda è un concetto simile alla trasmutazione di metalli in laboratorio, realizzabile attraverso una specie di bagno elettrolitico di sostanze con principi attivi opposti ma complementari - zolfo e mercurio - o alla trasformazione psicofisica dell’uomo teorizzata dall’alchimia mentale, per merito della polarizzazione di due opposti fuochi interni - uno secco e l’altro umido - .
Ai nostri tempi il termine alchimia - l’arte di sfruttare al massimo le potenzialità del corpo e dell’anima umani - è oggetto di infiniti fraintendimenti: è utilizzato per indicare un mix accattivante di profumi e colori nella cosmesi, di sapori e di profumi nella cucina, di tatto e diplomazia nel mondo degli affari e delle pubbliche relazioni, di suoni e di effetti speciali nel mondo dello spettacolo, di messaggi subliminali in quello della pubblicità. Ciò non è che la banalizzazione di una sapienza tradizionale, capace di combinare e dosare funzioni ed elementi contrari, per determinare reazioni straordinarie, che non sono il frutto della mera combinazione, ma della moltiplicazione del valore dei materiali di cui si dispone.
GIORGIO SANGIORGIO