Ad Alice nel Paese delle Meraviglie è capitata una avventura fantastica: oltrepassare lo specchio e incamminarsi. Ha fatto un viaggio dove tutto era assurdo. Certezze, logiche acquisite, argomentazioni non esistevano più, erano capovolte o frammentate nella loro bizzarria. La “logica” dell’assurdo, della metafora, del non senso primeggiava rispetto all’altra logica che il reverendo Dogson ben conosceva.
Due tendenze o più precisamente due stati della mente venivano a confronto, entrambi presenti nell’autore. Una parte mascolina ben rappresentata nella persona anagrafica del giovane studioso e l’altra più profonda e oscura che ha preso forma attraverso la sua realizzazione artistica nel sogno di Alice: entrambe agli opposti con pochi punti di contatto, con poca o nulla consapevolezza verso la possibilità di integrazione. Infatti Bianconiglio ha provato a esercitare il suo ruolo di piccolo iniziatore, il bruco quale potenzialità della farfalla non è riuscito nella sua promessa di trasformazione, la regina di cuori ordinava di tagliare le teste affinché non ostacolassero la sua persona, il re rimaneva in silenzio. Anche il gatto del Cheshire, il cappellaio matto, o la duchessa svolgevano individualmente la loro parte e, attraverso l’autore, i personaggi erano tutti presenti, ma ben poco avveniva.
Alla fine del racconto in Alice la curiosità di entrare nel giardino segreto non era più così viva come all’inizio del suo viaggio, pertanto la situazione si è ricomposta: Alice si è svegliata dal sogno ed il reverendo Dogson è rientrato nella sua identità, continuando a scrivere, a studiare, a fotografare le bambine. Una strana fiaba nata in epoca vittoriana, dove i ruoli erano ben riconosciuti e conformi alle norme del tempo e dove l’immaginazione, l’onirico, l’altra metà del cielo poteva esistere nel sogno di una bambina raccontato e scritto da un austero reverendo che per l’occasione aveva voluto assumere un altro nome, Caroll.
Tutto è finito così e la favola ha continuato a alimentare il sogno di andare oltre lo specchio, anche per rivisitare e riunificare il nostro femminile con il maschile e viceversa.
VERSO UN CAMBIAMENTO
Il tema della donna e del femminile nel percorso alchemico è stato affrontato nel tempo in modo parziale e con contributi prevalentemente maschili.
Nei testi alchemici della tradizione vi è ricchezza di immagini dal forte potere evocativo e suggestivo e sovente la figura femminile è rappresentata singolarmente o unitamente a quella maschile. Una raffinata iconografia propone un forte impatto visivo per i contenuti rappresentati ed in particolare l’esplicito riferimento sessuale diventa metafora delle diverse fasi dell’opera. Rappresentazioni che colpiscono intenzionalmente chi le osserva e che stimolano con un linguaggio analogico un processo di attiva immaginazione, alimentando quel fuoco interiore necessario per avanzare nel lavoro alchemico.
Sino ad un passato recente, l’accesso a scuole iniziatiche e, in particolare, la presenza delle donne al loro interno è stata limitata se non vietata. Dove avveniva, le donne avevano un ruolo secondario o di riflesso all’uomo, arrivando anche ad inibire a loro la possibilità di giungere ai livelli più alti di iniziazione o di intraprendere vie che, per una tradizione riflettente aspetti di una diffusa misoginia, le ritenevano non idonee a percorrere una via peculiare dell’uomo perché più razionale, attiva e specifica delle caratteristiche maschili. Diversamente, alla donna veniva mantenuto un ruolo a latere di ispiratrice, di canale energetico o più semplicemente di “pupilla”.
Negli ultimi anni, anche nei gruppi dove viene praticata l’alchimia, si è colto un aumento della presenza delle donne, sia come approccio informativo-conoscitivo che operativo.
Nel cogliere questo progressivo mutamento, occorre procedere con una più obbiettiva osservazione e, superando le radicate appartenenze al proprio genere, porsi in un atteggiamento di comprensione attiva verso l’individuazione del principio femminile e di quello maschile nella loro relazione di complementarietà, di scambio energetico e di trasformazione, sia in sé stessi che nel rapporto con l’altro sesso.
Oggi la divulgazione dell’alchimia non risente più degli aspetti di segretezza criptica nel linguaggio che presentava nel passato, necessari a tutelarsi dall’ignoranza e dalle persecuzioni religiose e che rendeva la ricerca dell’oro alchemico un cammino a disposizione di pochi e privilegiati adepti.
Di contro, si assiste ad un diffuso ed a volte eccessivo “parlare di alchimia”, specie nella sua espressione divulgativa ed accattivante di “alchimia trasformativa”.
Gli antichi pregiudizi e diffidenze stanno sempre più riassorbendosi ma, paradossalmente, il venir meno di questa parte più tradizionale e riservata, unitamente alla possibilità offerta, anche attraverso forme mediatiche, di accedere al sapere antico, nuovamente può ricreare attorno alla conoscenza e pratica alchemica miraggi e distorsioni nei suoi contenuti profondi e palingenetici.
La divulgazione attuale oltre ad esplicitare una apparente liberalizzazione del pensiero, arreca un eccesso di informazione e imbrigliamento della alchimia stessa all’interno di percorsi olistici tesi a una pratica finalizzata a rispondere alle profonde carenze identitarie e di anelito a stati di benessere e di equilibrio interiore che denotano il nostro tempo.
Oggi, questo impulso profondo insito nell’uomo e nella donna è diventato studio e ricerca di mercato, con offerte facilmente scaricabili dalla rete o praticabili nei numerosi centri di cura dell’anima e dello spirito. Prodotti tesi ad aiutare l’uomo a centrarsi e ritrovare sé stesso in una visione partecipata dell’universo, ma anche vulnerabile a causa delle sottili manipolazioni del potere.
Anche la divulgazione dell’alchimia non è esente da questa tensione e può condurre a deviazioni dalle sue finalità originarie di tipo trascendente e subire una alienante contaminazione dove l’individuo rimane dipendente dal suo stesso bisogno di libertà, di felicità e di guida da parte di un maestro.
SULL’UOMO E SULLA DONNA
L’uomo e la donna, in quanto corpi biologicamente predisposti, nel loro arco di vita temporale sono forme concrete riflettenti il segno dei tempi, istinti, umori, energie che si sono incarnate e plasmate secondo leggi universali e sconosciuti equilibri. Assumono la forma di automi perfetti che vengono regolati da dinamiche sottili e, senza averne la piena consapevolezza, vivono la vita totalmente identificati nella parte che è stata loro forgiata dalla famiglia, dal vivere sociale su quella matrice iniziale impressa dal personale tema natale.
L’uomo e la donna sono il risultato, l’espressione di un corpo che racchiude in entrambi una appartenenza più sottile: il genere femminile e quello maschile, l’anima e l’animus o usando un termine più complesso e completo, il principio femminile ed il principio maschile. Alcuni lo chiamano anche il principio femminino ed il principio mascolino, parola dall’uso relativamente recente e che racchiude anch’essa nella sua essenza ampiezza di contenuti, “L’eterno femminino che ci trae verso l’alto”.
L’uomo e la donna, nella loro manifestazione, sono l’esternalizzazione di una coppia di opposti, di un campo magnetico dove si manifesta la legge universale della polarità.
Entrambi, partecipi del reciproco campo magnetico, vivono la separazione attrattiva che attraverso lo scambio porterà alla riunificazione. Questo a livello fisico è ben visibile nella forza attrattiva sessuale, a livello emotivo nell’attrazione e ricerca di identificazione ed in quello spirituale nella congiunzione degli opposti nella realizzazione dell’Androgino.
Platone ben descrive la tensione all’eterno anelito, al ricongiungimento del maschile e del femminile nell’Uno.
Nel Simposio si legge: “Anticamente la nostra natura non era quella di oggi. I generi non erano tre o due, come ora, maschio e femmina, ma ce n’era uno che partecipava di entrambi… un androgino… la forma di questo essere era sferica, e aveva quattro mani e quattro gambe… Giove decise di tagliarlo a metà… da tempo perciò è connaturato agli esseri umani l’amore reciproco, per questo ognuno è sempre alla ricerca della propria metà, sia essa uomo o donna, indipendentemente dal proprio sesso, per ricostituire l’intero iniziale… Per questo diciamo che ognuno cerca la propria metà… La causa della nostra ricerca è che un tempo eravamo interi, e al desiderio e al perseguimento dell’intero noi diamo nome amore”.
L’uomo e la donna contengono rispettivamente il principio manifesto del maschile e femminile ed il principio complementare, ma sovente è carente il riconoscimento, la consapevolezza e l’accettazione.
Ne consegue, come sia deviante e limitante, il mantenere riflessioni unilaterali, utili ad alimentare illusioni di potere e di realizzazione.
DONNA E UOMO: ENERGIA, POLARITA’ E CIRCOLAZIONE
L’amore è la forza attrattiva universale che per essere sublimata e raggiungere un livello energetico superiore, necessita di essere lavorata e rinnovata. L’amore è energia e come tale, per circolare necessita di due poli, positivo e negativo. Tali poli sono rappresentati a livello di coppia, dall’uomo e dalla donna, a livello del singolo tra la rispettiva parte maschile e femminile.
La circolazione dell’energia inizia il suo percorso evolutivo partendo dall’energia dell’Eros, quella del corpo, la più bassa che si trova al livello genitale maschile e di polo positivo, e va verso il polo negativo, che è quello sessuale femminile. Da qui viene attratta verso l’alto dal polo positivo del cuore femminile, trasformandosi in parte in Philia che viene attratta da quello negativo maschile sempre a livello del cuore.
Nella coppia e nel singolo evoluti la circolazione, invece che ridiscendere a livello sessuale come nella maggior parte delle coppie, si innalza e si raffina e prosegue verso l’alto nel centro mentale maschile con polo positivo, trasformandosi in piccola parte in energia dello spirito, la più alta, quella dell’Agape e va verso il polo negativo nel centro mentale femminile, diventando la Sophia, cioè la Conoscenza del Cuore.
L’energia continua a circolare in modo inverso per effetto dell’attrazione del polo positivo e negativo e quindi ridiscende dalla mente negativa femminile e rifà lo stesso percorso alternato tra maschile e femminile. Questa circolazione deve essere costante e va alimentata evitando blocchi o deviazioni.
La duplicità si rifrange in un gioco di infiniti specchi, in un andirivieni amoroso che non è mai del tutto nel mondo e del mondo e, in particolare, la polarizzazione avviene quando i due poli divengono complementari e non più antitetici o conflittuali, identificati nel proprio anagrafico. Su questo livello di maggiore frequenza vibrazionale, è necessario mantenere nei rapporti con gli altri e secondo le occasioni livelli di presenza alti per non abbassare la qualità energetica – in essenza amore - di quello che si sta vivendo.
IL FEMMINILE ED IL MASCHILE
Dalle esigenze profonde e crescenti di riscoperta delle peculiarità femminili, in contrapposizione ad una cultura millenaria quasi sempre fondata sulla sottomissione della donna, è sorto il movimento femminista, movimento politico, culturale e sociale, storicamente nato durante l’ottocento che ha rivendicato pari diritti e dignità tra donne e uomini. Successivamente la rivoluzione sessuale del ‘ 68 ha rappresentato la rottura di un equilibrio esistente e la liberalizzazione dei comportamenti sessuali contro un diffuso moralismo di matrice maschile e religiosa. Il riscatto da una sessualità repressa e legata alla funzione procreativa, sostenuto prioritariamente dalle nuove ricerche scientifiche per una contraccezione certa, ha dato alla donna una nuova consapevolezza tesa al recupero del proprio corpo, della sua funzione nella sua pienezza e rispetto. Si ponevano pertanto le condizioni per riappropriarsi di una autonomia e di una saggezza antica, volutamente tacitate e perseguitate da una società sbilanciata verso una dominanza di aspetti estremi e\o parziali dell’esternalizzazione del principio maschile. Sia per la donna e per l’uomo, è stato l’inizio di un percorso di cambiamento, ma come tutti i cambiamenti con aspetti di contraddizione e di derive se affrontati in modo unidirezionale o protesi al conseguimento di acquisizione di nuove forme di potere.
Oggi si assiste ad un nuovo fenomeno, dove movimenti, gruppi sempre più diffusi sostengono il femminile e la donna, facendo leva su una matrice naturista e sul recupero dei valori e della figura della donna, anche attraverso la rivisitazione di ritualità, simbologie e archetipi connessi agli antichi culti ctoni o lunari del femminile.
Formalmente la donna ha recuperato la propria voce, la propria espressività lasciando quelle dimensioni tradizionalmente tramandate di padrona della casa, di musa ispiratrice idealizzata o di un femminile sensuale o demonizzato. Ma nella sostanza permangono ancora posizioni di profonda debolezza, che la portano a scivolare nell’inganno e nella trappola di una femminilità vissuta come prigione.
Emerge un femminile che se da un lato acquisisce maggior consapevolezza di sé e del suo valore, dall’altro diviene sempre più rivendicativo ed esclusivo. Se Il femminile assume talvolta tratti aggressivi e caratteristiche di tipo maschile, come contro altare nell’uomo si presentano aspetti di fragilità e tendenze femminili: fenomeni ormai diffusi, espressione di destrutturazione di ruoli tradizionali. Questo esprime da entrambe le parti una profonda perdita di identità, una liquidità di percezioni, di appartenenze, una interscambiabilità dei ruoli che mina la ricerca di centralità dell’Io. Una sorta di cammino in una Nigredo indistinta, senza la lucidità consapevole di quello che si sta facendo.
Una parola ha ben racchiuso in sé il tema del femminile e della donna e di riflesso anche quello dell’uomo e del suo maschile: isteria. E’ parola dall’origine antica e che ha attraversato i secoli, alimentando, e non solo, l’immaginario del femminile e del maschile, parola ancora viva perché continua a segnare il mondo del femminile ed avvolgere la donna, come un abito mutevole e da lei stessa indossato con una naturalezza spesso passiva, adesiva o compiacente.
Affrontare il tema della donna e del femminile in maniera prevalentemente autocentrata comporta il rischio di isolare nuovamente la donna, riconducendola verso nuove forme di chiusura paradossalmente rappresentate dall’attaccamento alla propria emancipazione. Così facendo si creano nuove divisioni con subdole forme di emarginazione e di violenza, rafforzando le antiche dicotomie tra il maschile ed il femminile, dimostrando così che il rafforzamento del potere della donna specularmente a quello dell’uomo è pura illusione. Il processo fondamentale della integrazione dello scambio, della condivisione ed arricchimento nelle diversità, sarà inevitabilmente invalidato.
TRA LA MATERIA PRIMA E LA GRANDE MADRE
La riflessione sul femminile e sul maschile non può evitare un richiamo al suggestivo tema della Grande Madre.
In una vasta area geografica, comprendente l’Europa, l’area del Mediterraneo, l’Estremo Oriente, l’India, agli albori dell’umanità, datato all’incirca dal 35.000 al 3.000 a. c., avvenne l’espansione del culto della Grande Madre, culto che attesterebbe l’esistenza di strutture matriarcali nelle civiltà del Paleolitico e Neolitico e che continuerà ad esercitare potenti influenze nelle religioni e mitologie di tutte le civiltà indoeuropee. Lo sviluppo della ricerca archeologica ha contribuito ad ulteriori approfondimenti su specifici reperti risalenti a quei periodi. In particolare si tratta di piccole statuette scolpite nella pietra o nell’osso, alcune con i resti di una pittura di ocra rossa, diffuse in vaste aree geografiche, che rappresentano figure femminili dalle forme curve e tondeggianti, a volte con fattezze abbozzate e con espliciti richiami alla fecondità e alla riproduzione. I primi ritrovamenti risalgono all’incirca nel XIX secolo, furono catalogate come le Veneri della preistoria e l’allora interpretazione verteva esclusivamente sugli aspetti sessuali e di piacere del corpo della donna, risentendo prevalentemente di una lettura critica riflettente la mentalità maschile del tempo.
Alcuni studi attuali portano avanti il tema della Grande Madre che per millenni ha attraversato la storia dell’umanità, quale espressione e memoria di antiche culture e spiritualità prevalentemente inconsce e primitive, inserite in lontane società di tipo agricolo, artigianale e profondamente legate alla sintonia della donna con la natura, alla sua ciclicità e fecondità.
Nel tempo la rappresentazione della Grande Madre ed il culto da essa derivato, perderà la centralità originaria e nella sua evoluzione assumerà nomi e funzioni diverse, declinatesi con gli spostamenti dei popoli, le generazioni e la crescita complessa della cultura.
Dalla Grande Madre originaria, generatrice del tutto, prenderà forma successivamente la dea che dà vita e nutrimento e la dea che dà la morte e la rigenerazione; anche l’immagine originaria perderà le sue fattezze di rotondità per presentarsi filiforme, essenziale, quale passaggio verso una nuova rinascita.
Conseguentemente allo scontro ed evoluzione di culture diverse e del progressivo affermarsi delle grandi religioni, si assisterà ad una lenta e progressiva alienazione dalla natura verso società più evolute e strutturate secondo un modello prevalentemente maschile che risulterà prevalente nei secoli e la figura della dea evolverà nelle numerose forme delle divinità femminili, da cui le dee dell’amore, della fertilità, della caccia, della terra, ecc... In particolare la dea madre rappresentata con il bambino in braccio sino dal Neolitico, arriverà fino ai nostri giorni tramite l’immagine di Iside con il figlio Horus tra le braccia e tramite l’immagine della vergine Maria, ultima immagine della divinità femminile nella sua essenza profonda, in un culto patriarcale e monoteista come il cristianesimo.
Oggi si assiste a numerosi movimenti, specialmente femminili, dove si pratica il risveglio dell’archetipo della Grande Madre, teso al ritorno ed al recupero di quelle energie e funzioni del femminile perse, adombrate.
Originariamente la Grande Madre, quale divinità e archetipo del femminile presente nella maggioranza delle mitologie, rappresenta la terra, la capacità generativa, il femminile come mediatore tra l’umano ed il divino e, citando Neuman “Se fondiamo l’equazione corpo-mondo dell’uomo primitivo nella sua prima forma aspecifica con l’equazione simbolica fondamentale del femminile, donna = corpo = vaso, giungiamo ad una formula simbolica universale, che suona così: donna = corpo = vaso = mondo.”.
Sempre, con un approccio analogico e con l’immediatezza e la ricchezza del simbolo, il collegamento con l’opera alchemica emerge stimolante.
La riflessione, pertanto, si svincola dalla dialettica per la supremazia tra il principio femminile e maschile e verte esclusivamente nell’aspetto del grande contenitore primigenio, della prima materia alchemica (mater da cui materia o matrice), della grande pietra, dell’utero cosmico che rimanda al crogiolo individuale ed in particolare all’inizio dell’opera alchemica, quando si affronta la Nigredo. In questa fase operativa del percorso trasmutativo l’operatore, all’interno del proprio vaso, lavora la sua materia prima attraverso lo stato di chiusura, di macerazione, di scomposizione, di congelamento, lavoro preparatorio a quello di germinazione feconda in tempo di Viriditas.
L’eterno femminino e l’eterno mascolino sono uniti nell’unità indifferenziata contenuti nella Grande Madre e, se vogliamo ricorrere ad un altro antico archetipo, a Cronos, nel suo aspetto androgino primigenio. Nel mito di Cronos, il grande padre che trattiene dentro sé i figli generati e della grande madre, quale vergine primordiale, custodi entrambi del primitivo fuoco, sono racchiuse le origini del principio unico indifferenziato.
L’OUROBOROS E L’ANDROGINO ERMETICO
Il collegamento alla ricchezza di un altro simbolo, rappresentato dall’Ouroboros, è immediato.
Un serpente che si mangia la coda, apparentemente immobile nella raffigurazione in cui è ritratto. La sua origine è lontana nel tempo e appartiene alla tradizione occidentale ed in particolare all’antico Egitto. Una delle prime rappresentazioni iconografiche risale al papiro di Dama Heroub dove Horus bambino è all’interno del disco solare, sostenuto dal leone Akhet ( simbolo dell’orizzonte dove il sole sorge e tramonta), circondato dal dio serpente Mehen, a forma di Ouroboros. Il simbolo lo si ritroverà successivamente nel neoplatonismo, a seguire nell’arte rinascimentale e nella cultura funeraria del XIX, oltre che negli antichi testi alchemici illustrato e arricchito con raffinati rifermenti al linguaggio ermetico.
Il simbolo nella sua essenzialità visiva rappresenta l’energia universale che si consuma e si rinnova, in un eterno movimento. Vi è divoramento e nutrimento continuo, espressione di palingenesi permanente che rimanda a due immagini ricorrenti nel tema del femminile e del maschile: la circolarità presente nel cerchio e nella sfera, l’animalità e la sessualità rappresentate dal serpente.
Nell’Ouroboros vi è il tema del vuoto, inteso come spazio vuoto e pieno contemporaneamente e che nella sua profondità rimanda all’infinito, in un divenire continuo generante e divorante. L’analogia alla simbologia della Grande Madre - Cronos è evidente.
L’Ouroboros, il grande cerchio, rientra tra i primi simboli dell’umanità, diventa il simbolo della situazione psichica originaria e dell’universo: rappresentazione grafica e condensazione mentale di una realtà che non è pensabile dall’umano se non simbolicamente e intuitivamente. Nell’equilibrio e nella tensione alla congiunzione tra l’elemento positivo e negativo, maschile e femminile, solare e lunare, si anticipa la realizzazione dell’Androgino Ermetico.
Dalla presa di consapevolezza della dinamis di questi simboli, dall’Ouroboros verso l’Androgino il cammino è segnato. La realizzazione dell’Androgino, termine che racchiude la sua essenza nel nome, è la naturale tensione dell’opera alchemica, dove il maschile ed il femminile si ricompongono nell’unità consapevole del Principio.
Scrivere sull’Androgino non è cosa semplice.
Il maggiore rischio che si incontra, sino a diventare reale impedimento nel lavoro alchemico, è quello di rimanere radicati ad un livello prevalente di raffinata concettualizzazione, dialettica filosofica, presunta astrazione metafisica, dove l’Io, ancora troppo centrato su di sé e abile all’utilizzo delle parole guidate da una incalzante logicità, imbriglia con tenacia la mente, inibendo e coartando il libero fluire della ricchezza interiore.
L’Androgino è uno stato cui si tende e come tale può essere profondamente sperimentato e vissuto solo attraverso l’esperienza individuale di un atto di creatività totale, difficilmente condivisibile.
Nell'operatore che integra le due polarità, si sviluppa un continuo e armonioso dialogo interiore tra sensibilità e logica, tra amore e volontà, tra forze introverse e forze estroverse.
Come l’artista dopo un cammino interiore di sofferenza genera l’opera d’arte e, abbandonando la sua umanità, accede ad uno stato di consapevolezza dove diventa uno con la sua creazione, così avviene per l’alchimista al termine dell’Opera.
DANIELA MORETTO