La caratteristica principale dell’ermetismo alchemico è all’origine delle persecuzioni che ha subito nei secoli passati ed è in sintesi il suo atteggiamento sperimentale e conoscitivo, che prevede per l’essere umano la possibilità di trasformarsi e perfezionarsi con la forza della propria interiorità spirituale, con la propria ragione, con la propria volontà ed immaginazione, fino ad integrarsi con le sfere divine più alte.
La possibilità di un auto-perfezionamento dell’alchimista contrasta con la teologia delle religioni monoteistiche, basata sulla rivelazione divina contenuta in libri sacri indiscutibili, dogmatici, con la dottrina del peccato originale e della necessità della grazia per salvarsi. A questo si aggiunge l’insegnamento di una conoscenza spirituale, da parte di singoli o di gruppi del tutto autonomi e in concorrenza con il magistero, spesso in regime di monopolio, della Chiesa o dell’Islam, che pretendono un esclusivo ruolo di mediazione fra il divino e la collettività umana.
L’alchimia non è mistica o fideistica, per cui tutti i suoi enunciati e i suoi precetti sono da considerare veritieri o realistici solo dopo una loro verifica, per mezzo di una sperimentazione personale, diretta. L'alchimia è un insieme coerente d’interpretazioni o descrizioni della realtà, dell’uomo e dell’universo, del microcosmo e del macrocosmo, che sono messe alla prova attraverso il successo in determinate attività concrete: la cura dello stato di salute, la scoperta di farmaci e tecnologie utili, la raffinazione della sensibilità e della consapevolezza umana, la conoscenza profonda della natura, la realizzazione di opere d’arte o letterarie, che diano un senso e un valore non effimero all’intera esistenza.
Altra caratteristica fondamentale dell’alchimia, per cui in passato è stata spesso denigrata e accostata alla negromanzia o al commercio col demonio, come nel celebre caso del Dottor Faust, è che essa utilizza la magia, nel senso che presuppone un intimo legame tra il pensiero e la materia da trasformare, tramite l’intermediazione d'immagini particolari, sorrette da una volontà costante. Pertanto l’alchimista immagina una serie di progetti sempre più impegnativi e poi opera per farli nascere in concreto, come erano stati prima immaginati, accompagnando questo processo creativo con azioni e parole ritualizzate, il che significa che ad esse viene dato il giusto ritmo e intento.
In tutto l’ermetismo alchemico e magico vi è l’utilizzo di questa immaginazione attiva, della volontà unita a immagini o parole, focalizzate e canalizzate con tecniche particolari, per realizzare progetti evolutivi o di sopravvivenza ultraterrena, per evocare o attrarre l’intervento di poteri ed energie superiori.
Occorre aggiungere che le caratteristiche che strutturano l’operatività ermetica alchemica hanno un retroterra culturale antichissimo, antecedente le religioni basate sulla Bibbia, sui Vangeli, sul Corano: le tradizioni religiose degli Egizi, dei Sumeri e dei Babilonesi, formatesi tra il III e il II millennio A. C..
Nelle credenze popolari Abracadabra è la parola magica per eccellenza, spesso iscritta più volte in triangoli con la punta rivolta verso il basso o l'alto per formare potenti talismani, ma pochi sanno che deriva dall'aramaico Avrah Ka Dabra e che significa "Io creerò come parlo" e cioè io creo il mio destino. E la concezione su cui si basa tale parola, come tutte le operazioni magiche conosciute, si forma sempre tra il III e il II millennio A. C.., in tali aree geografiche.
La teologia egizia di Menfi attribuisce la creazione del mondo, compresi gli dei, all’azione del dio architetto e fabbro Ptah, tramite il cuore, la volontà e la lingua, cioè con la parola che ordina. Analogamente, l’alchimista è architetto e fabbro del proprio microcosmo. Le immagini, le parole e le azioni ritualizzate, cui l’alchimista conferisce la giusta vibrazione e intensità, determinano la realizzazione di quanto si vuole, sia che si lavori i metalli, le piante o sé stesso. Esse contengono, in egual misura, potere sacrale e qualità magiche, perché esse hanno la funzione di evocare e comandare forze del mondo metafisico. Pertanto le parole ritualizzate, se scritte o pronunciate correttamente, senza errori od omissioni, hanno un effetto operativo, in tempi più o meno lunghi.
In genere i rituali magici vengono utilizzati da sacerdoti mestieranti, nelle cerimonie destinate al popolo superstizioso e suggestionabile, per la creazione di talismani e fatture contro il malocchio e le malattie, oppure nel culto essoterico popolare dei morti, per superare il terrore della morte e guadagnarsi nell’Aldilà, con una serie generosa di offerte agli dei, una vita simile a quella terrena. Ma particolari sacralizzazioni sono ideate e praticate, molto più efficacemente, dagli iniziati ai Misteri di Osiride, in una visione teurgica, e successivamente alchemica.
La concezione egizia della immagine e della parola creativa è attestata da innumerevoli reperti, di epoche diverse. Nei Testi delle Piramidi, il più antico rituale funerario (seconda metà del III millennio A. C), ad uso esclusivo dei Faraoni ed inciso in colonne verticali di geroglifici, sulle pareti delle stanze interne delle piramidi, il defunto si identifica con il dio del sole RA o con il dio del cielo sotterraneo Osiride, il dio morto e risorto. Dopo la fine dell’Antico Regno (prima metà del II millennio), appaiono i Testi dei Sarcofagi, formulari magici dipinti sulle pareti interne dei sarcofagi di alti funzionari, che anch’essi conquistano così, nel culto popolare essoterico, il diritto alla sopravvivenza, che prima è privilegio del Faraone, che in epoca ellenistica diviene il simbolo dell’alchimista che ha raggiunto la Grande Opera.
A partire dalla XVIII dinastia (seconda metà del II millennio), si depositano in tutte le tombe papiri illustrati a vignette o si fascia il corpo mummificato con delle bende, sulle quali sono raccolte formule funerarie, conosciute col nome di Libro dei Morti o Libro per uscire alla Luce. Con le immagini e le parole magiche, contenute in tale raccolta, si rende favorevole al defunto il Tribunale dell’Aldilà. Nel Libro dei Morti vi è la famosa scena della pesatura del Cuore sulla bilancia e della confessione negativa, dove il defunto, per essere assolto, nega di aver commesso azioni riprovevoli.
Nella concezione essoterica popolare, per l’assoluzione bastano le formule magiche sui papiri e gli incantesimi, con la confessione negativa formale, pronunciata dai sacerdoti. Non è indispensabile una confessione veritiera, con una condotta eticamente positiva, e neppure si pretende una esistenza di perfezionamento spirituale.
Secondo le scritture funerarie , il defunto compie un viaggio nella Duat, la Terra dei Morti, durante il quale è messo alla prova da diversi Guardiani della Soglia e affronta combattimenti con alcuni Demoni, pronti a sbranarlo. Se supera prove e combattimenti, il defunto è condotto dal Dio Anubi al processo finale della pesatura del Cuore. Se questo è più leggero di una piuma, posata su di uno dei due piatti della bilancia dalla Dea Maat, gli dei giudicano il trapassato degno della sopravvivenza. Se il Cuore, posato sull’altro piatto della bilancia, è più pesante della piuma, il trapassato è gettato in pasto ad un mostro formato da vari animali.
Secondo l’ermetismo alchemico, che deriva l’esoterismo egizio, il viaggio, le prove, i combattimenti e la pesatura rappresentano una serie di sgrossature energetiche, di distacchi dalle cose e dagli affetti mondani, che può superare soltanto un’anima integrata con lo spirito, dagli egizi detto Akh. Quest’anima superiore, detta Ba, si separa dall’anima inferiore, detta Ka, ed affronta con successo il processo finale della pesatura del Cuore.
Il Cuore citato dal Libro dei Morti non è da non confondere col muscolo cardiaco ed è invece il condensatore principale delle energie vitali e psichiche dell’uomo. Durante l’esistenza terrena, esso può imprimere una serie d’immagini nell’anima superiore, non identificata nella personalità ordinaria, come un’ultima volontà o intento che automaticamente possa guidarla nell’Aldilà. In caso contrario, l’anima si disunisce dallo spirito e le sue energie rifluiscono nell’anima del mondo, raffigurata dal mostro formato da vari animali. Nella stessa rappresentazione il Dio Anubi rappresenta ermeticamente il Nume che accompagna l’anima nel post portem, mentre la Dea Maat rappresenta l’equilibrio o l’armonia delle leggi cosmiche, emanate dall’Assoluto.
Per superare le diverse soglie della Duat, secondo il Libro Egizio dei Morti, il trapassato deve conoscere le risposte giuste da dare ai Guardiani, fare il percorso e le scelte migliori. Per l’esoterismo ermetico, ciò significa che il defunto deve essere stato iniziato alla Grande Opera ed averla compiuta durante la propria esistenza, realizzando un reale ed efficace processo di trasmutazione spirituale.
Nel Libro dei Morti si possono distinguere quattro fasi rituali, che hanno notevoli analogie con le quattro fasi dell’Opera: la Preghiera, con il trasferimento del defunto alla necropoli e che può corrispondere alla macerazione della nigredo od opera al nero; la Rigenerazione, dove appunto si rigenerano integralmente gli elementi terreni corrotti, che può corrispondere alla viriditas o opera al verde ; la Trasfigurazione, che conferisce il potere di sublimare il composto umano rigenerato, che può corrispondere all’albedo o opera al bianco; la Glorificazione, con cui il defunto si identifica in Horus, il figlio di Osiride e Iside, e in Thot, il dio della conoscenza, dai Greci assimilato ad Hermes, dagli alchimisti ad Ermete Trismegisto. Quest’ultima fase corrisponde in pieno alla rubedo o all’opera al rosso, con la formazione dell’androgino ermetico e del Corpo di Gloria.
In un formulario si accenna a quello che sarà il concetto ermetico del patrimonio mentale superiore o disincarnato, capace di sopravvivere alla distruzione della mente individuale e cerebrale, e infatti vi si legge: “O tu grande Horus, che vedi tuo padre, o preposto al libro di Thot, eccomi venuto come defunto animato, potente, fornito degli scritti di Thot . Portatemi presto Aker, ( dio della terra), dentro cui sta il fuoco di Seth (fuoco separatore e purificatore). Portatemi il vasetto d’inchiostro e la tavoletta per la scrittura, l’astuccio di Thot, e i segreti che vi sono collegati.”
Altri testi funerari del Nuovo Regno sono Il Libro di chi è nella Duat, Il Libro delle Porte, Il Libro delle Caverne, Il Libro della Terra, resi suggestivi e potentissimi, secondo la fede popolare, dalle illustrazioni delle mappe delle terre misteriose della Duat, che il defunto può attraversare senza danni, avvalendosi delle guide magiche. Testi magici ancora più recenti sono Il Libro che il mio Nome fiorisca e Il Libro delle Respirazioni.
Molta importanza è data alla sopravvivenza mediante il “nome”, che per il sovrano era scritto dentro un magico cerchio o ovale, il cartiglio, l’essenza segreta individuale. Anche questa prassi coincide con l’uso del Nome Iniziatico, che l’alchimista sceglie come mezzo di collegamento al proprio Nume, un Io trans personale, che agisce dall’inconscio e si sostituisce gradualmente all’Io biografico, destinato a perire.
La sopravvivenza egizia si verifica anche grazie al “buon nome” ottenuto con opere a favore degli altri, sia sul piano materiale che spirituale, in particolare con opere artistiche o letterarie, che possono sfidare i secoli e l’oblio. Ciò coincide col motto alchemico di versare in terra, cioè di fissare nello scritto il risultato del proprio lavoro interiore. In un papiro funerario si legge: “Degli scribi pieni di saggezza il nome dura eternamente. Furono costruiti portici e case: sono crollate. I sacerdoti addetti al loro culto funerario se ne sono andati e le loro stele sono coperte di terra. Ma è pronunciato il loro nome a causa dei libri che hanno scritto, perché erano buoni libri, e il ricordo di colui che li ha scritti rimane in eterno e per sempre. Sicuramente, un nome che è sulla bocca degli uomini è utile nella necropoli: un uomo scompare, il suo cadavere è in terra, tutti i suoi contemporanei hanno lasciato il mondo, ma lo scritto ne permette il ricordo sulle labbra di chi lo nomina. Un libro è meglio di una casa costruita, meglio di tombe nell’Occidente (nella necropoli).”
Per gli egizi il pericolo più temuto consiste nel “morire di nuovo” o nella “seconda morte”, la perdita definitiva dell’anima superiore, che tocca ai dannati, ai malvagi, ai nemici del re e degli dei, che per l’ermetismo sono coloro che non hanno percorso un cammino iniziatico. Nel Libro dei Morti vi è questo dialogo, tra il defunto e il Guardiano della Soglia Osiride: “E’ aperta la mia caverna, è aperta la mia caverna! Gli spiriti luminosi cadono nelle tenebre, ma l’Occhio di Horus mi ha guardato e salvato, e Upuaut, ( dio sciacallo della morte), si è preso cura di me. Nascondetemi fra di voi, o Stelle Imperiture! Il mio collo è dritto come quello di Ra, il mio viso vede, il mio cuore è al suo posto, le mie parole io le conosco. Io sono Ra, che protegge se stesso.” “Non ti prenderò, non ti porterò via, com’è vero che tuo padre Osiride, il figlio di Nut (dea del cielo e della nascita) vive per te.” “Io sono tuo figlio Horus, che vede i tuoi Misteri. Sono apparso come re degli dei. Non morirò una seconda volta nell’Aldilà.”
Il concetto ermetico di un’ultima immagine trascendente, capace di riassumere una serie di visioni esaltanti dell’Assoluto, di esperienze straordinarie o extrasensoriali, proprie della dimensione disincarnata, avente la funzione di guida automatica nel processo traumatico del trapasso, deriva sempre dalle tradizioni esoteriche e soteriologiche egizie. La reiterazione di questa immagine non plus ultra, specialmente negli anni della vecchiaia e negli ultimi giorni di vita, può determinare un definitivo distacco dalle realtà contingenti del mondo profano e costituire un valido aiuto per attraversare l’abisso della morte fisica.
Con il potere delle immagini collegate alla parola magica “rialzati”, ripetuta più volte come una litania, i sacerdoti egizi ottengono per il defunto la rinascita ultraterrena, in una specie di psicodramma, dove l’anima si solleva dall’oblio del sepolcro e si trasforma nel dio Osiride, morto e risorto: “Rialzati, Osiride, anima di Ra, che ha organizzato le tue forme (il doppio incorporeo)! Rialzati, Osiride, che stai sul piano più elevato! Il disco solare diffonde i suoi raggi sul petto della tua mummia! Rialzati, Osiride, che dimori in un sarcofago, al quale Ra parla quando ti risveglia! Rialzati, Osiride, che presiedi agli Occidentali (i passati oltre la linea dell’orizzonte), che tuo figlio Horus protegge! Rialzati, Osiride, toro e signore dell’Occidente! Iside ti presenta la tua anima! Rialzati, Osiride, grande che sei nel santuario! Ra ti conduce verso la tua barca! Rialzati, Osiride, che presiedi alla Duat! Tuo figlio ha organizzato per te le tue forme! Rialzati, Osiride, il cui cuore più non batteva, lodato da Ra! Rialzati, figlio primogenito di Ra! Gli dei hanno fatto saldo il tuo scettro. I grandi dei ti adorano! Rialzati, tu che sei un beato, durevole, potente, forte, che ti sei manifestato come Ra-Osiride, eternamente e per sempre! Rialzati, svegliati, Osiride! Ra ti rende le mani e Ptah ti adorna! Rialzati, sei vittorioso, o silente! Ra ha abbattuto i tuoi nemici! Rialzati, Osiride! Ascolta i lamenti di tua sorella Iside! Rialzati, Osiride, tutte le dee si lamentano per te! Rialzati, Osiride, si lanciano gridi per te! Iside piange per te! La tua anima è rallegrata, il tuo corpo è santificato! Rialzati, Horus- Osiride, Ra brilla su di te! Rialzati, Ra ti adora quando brilla e risplende all’ingresso della tua caverna! Rialzati, tu che eri inerte! Il tuo cuore non è più inerte. Ra ti mette nel posto esatto, che ancora non sai riconoscere! Rialzati, tu i cui misteri sono nascosti. Illumina la Duat con i raggi dei suoi occhi! Rialzati, tu il cui nome è nascosto! Horus ti ha sistemato sul capo il copricapo regale! Rialzati, Orione, signore della vita! Tuo figlio Horus ti ha restituito il tuo scettro! “
Occorre aggiungere che l’atteggiamento ermetico alchemico di utilizzare le forze metafisiche dell’universo, ai fini della propria trasformazione ed evoluzione, deriva pure dalle tradizioni dell’area mesopotamica. La prassi alchemica, dettata da precisi cicli astrologici, legata ai fenomeni celesti e potenziata da tecniche magiche o immaginifiche, derivano direttamente dalle conoscenze antichissime di tale area geografica. L’ermetismo alchemico è una serie di operazioni di evocazione di guide celesti, di archetipi planetari, di forze elementari, del proprio nume o genio, l’alter ego di ogni anima, che aiutano l’uomo nella ricerca della verità.
Per i sumeri, a partire dal III millennio a. C., il cosmo creato dagli dei è concepito come uno spazio ordinato, come un tessuto è composto dalla trama e dall’ordito, come la loro terra è coltivata tramite la rete dei canali d’irrigazione, come le tavolette della loro scrittura cuneiforme sono divise in caselle e in colonne. All’uomo, creato come un insieme intelligente di corpo, anima e spirito, spetta il compito di rispettare questo ordine divino, di osservare e conservare l’intreccio in cui le parti del cosmo sono concatenate secondo analogie e corrispondente infinite.
In questa visione il mondo non è abbandonato a sé stesso, ma governato da grandi forze archetipiche, da un progetto unitario, che da senso alla vita. Il fulgore di questi archetipi o dei è tale che vengono presto identificati con gli astri del firmamento. In questo senso le stelle e i pianeti svolgono il ruolo d’intermediari tra gli dei e gli uomini, oltre ad essere forze capaci d’esercitare un’influenza diretta, benefica o malefica, sulle cose, sulle piante, sugli animali e sugli uomini.
Oltre all’astro, altro vettore di potenza è la parola degli dei, che può essere utilizzata anche dagli uomini degni di pronunciarla. Come per gli egizi, anche per i sumeri la parola ha potere, perché è soffio, respiro, ciò che dona la vita e distingue un vivo da un morto.
Secondo la mitologia sumerica, all’inizio dei tempi, la conoscenza delle leggi che regolano il cosmo è trasmessa da un essere divino, parte uomo e parte pesce, uscito dalle acque del mare per istruire gli uomini. Sono poi seguiti esseri semidivini, simili all’egizio Ermete Trismegisto, per rivelare alcuni aspetti specifici, magici, divinatori, tecnologici, di questa conoscenza delle origini. Padroni di questo sapere della Tradizione, tramandato di generazione in generazione, sono i saggi o sapienti, i cosiddetti Maghi o Magi, che in genere lasciano opere scritte, i cui autori restano nell’anonimato e il cui significato deve restare segreto ai più. Si utilizzano spesso codici cifrati, giochi di parole, da interpretare con una chiave di lettura conosciuta da pochi.
In questi testi, il cui linguaggio è molto simile a quello criptico dei successivi testi alchemici, la parola scritta non è un mero mezzo di comunicazione, ma reca l’essenza effettiva dell’idea espressa. Da ciò deriva l’uso del linguaggio ermetico, soggetto a quattro tipi di lettura: letterale, allegorica, morale e anagogica, cioè strumento di conoscenza che eleva.
Nelle scritture sumeriche ( III millennio) e poi babilonesi ( II millennio), si trasmette l’arte della divinazione volontaria, ad esempio la lettura delle macchie dell’olio versato sull’acqua, del fumo che si leva da un braciere, del fegato e delle viscere degli agnelli sacrificati; oppure involontaria, ad esempio l’interpretazione di sogni inusuali, di eventi improvvisi o straordinari, di neonati mostruosi, di fenomeni eccezionali nel cielo, come le comete. Vi sono poi i rituali e le formule per esorcizzare, per stornare un eventuale male che un oracolo annuncia, per guarire dai malanni, per cacciare figure demoniache, pronte ad irrompere nella vita di colui che, avendo commesso un atto contrario agli dei o impuro, viene allontanato dalla sfera protettiva del nume personale.
Si trasmettono anche le procedure per trasferire il potere degli dei nei templi, considerati una localizzazione intensa del potere divino, nei talismani o nelle statue, perché diventino forza e corpo del dio. Particolare efficacia ha il rituale del lavaggio della bocca e dell’apertura degli occhi del simulacro, con cui il dio vede e parla. Queste pratiche astrologiche, evocatorie, esorcistiche e magiche si ritrovano in alcune parti del Corpus Hermeticum, redatto tra il I e il III sec. d C., costituito da 17 trattati dal contenuto eterogeneo, tra i quali il più noto è l’Asclepius, che tratta invece della filosofia ermetica.
Nella tecnica divinatoria babilonese, legata all’astrologia, il corpo celeste che è a destra o è luminoso risulta favorevole, il corpo celeste che è a sinistra o è opaco, scuro, risulta sfavorevole. Se un astro a destra è luminoso ed uno a sinistra è opaco, l’esito è favorevole; l’esito è negativo nel caso opposto.
A partire dal V sec. a C., si acquisiscono grandi quantità di dati sui fenomeni celesti e nasce l’astrologia basata su regole matematiche, con una metodologia precisa, con la previsione delle eclissi, con la scansione di dodici segmenti o segni di 30 gradi dell’eclittica solare. Quest’ultima è detta zodiaco per via dei simboli animali attribuiti ai segni e il relativo tema natale è utilizzato dall’alchimista come uno strumento per individuare gli elementi e le sostanze che caratterizzano il proprio crogiolo, in cui forgiare metalli interiori.
L’uso di tecniche di distillazione di sostanze vegetali e di fusione di minerali, con procedimenti magici rituali, è attestato presso i sumeri già dal II millennio a. C.. La tecnologia metallurgica in tutta l’area mediterranea e del medio oriente assume fin dall’inizio connotati sacri, perché comincia con la lavorazione dei metalli caduti dal cielo tramite le meteoriti, e quindi dono degli dei. Tra l’altro, l’aspetto sacro della metallurgia si trasmette alla religione persiana del mazdeismo, per molti versi distante dall’ermetismo per il suo pronunciato dualismo ontologico tra bene e male. Nelle scritture di questo culto è dato un significato escatologico al perfezionamento alchemico dei metalli, perché si afferma che nella prova finale il mondo sarà purificato dal metallo fuso, attraverso l’ordalia del fuoco e dello spirito.
Nell’area di Harran, nel settentrione anatolico mesopotamico, si sviluppa una metallurgia rituale, legata ai cicli astrologici, al movimento e all’influenza dei pianeti, con simboli e associazioni di colori molto simili all’iconografia alchemica. In seguito, tra il IX e il X sec. d. C., gli Harraniani sono costretti a dichiarare il loro credo religioso in conformità con i requisiti delle religioni tollerate dall’Islam: monoteismo, presenza di un profeta nominato nel Corano, possesso di un libro sacro. Ma non per questo tradiscono le loro tradizioni alchemiche e infatti si dichiarano seguaci del profeta Ermete, indicano come libro sacro due trattati del Corpus Hermeticum, e trasformano la loro antichissima astrologia magica in una religione monoteista. In essa un unico dio creatore si pluralizza in figure epifaniche di natura spirituale, essenze di pura luce, che i filosofi chiamano intelligenze e le religioni chiamano angeli. Di particolare rilievo sono gli angeli o mediatori che hanno i loro templi visibili nei sette pianeti e ne guidano il corso regolare, agendo come vicari di dio in terra, particolarmente potenti nei metalli e nelle piante corrispondenti.
Tutte queste conoscenze e tradizioni sono trasmesse alla successiva cultura greca alessandrina. Sotto questa luce, ciò che rimane delle primitive tecniche di minatori e di fabbri è soprattutto un modo di guardare alla terra come a un qualcosa che racchiude in sé un mistero di animazione e di vita, un potere virtuale di perfezionamento. Nella tradizione egizia e greco alessandrina si parla di una energia metafisica della natura o quintessenza, un dinamismo intrinseco ai metalli, alle piante e all’uomo, un’istanza di innalzamento del livello d’informazione presente nelle forme viventi, con cui la natura vince la stessa natura.
Nei papiri di Leida e di Stoccolma (III- IV sec. d. C) si trovano le prime testimonianze scritte di procedimenti alchemici egizi, fondati sull’esperienza diretta e non sul misticismo religioso, prassi che sarà sempre seguita dagli alchimisti. In essi si fa riferimento a tecniche per la lavorazione dei metalli, per tingere i tessuti, a strumenti o apparecchi che s’ispirano all’arte culinaria. Vi sono pure tecniche per far sembrare oro il rame. Difatti l’ipotesi di lavoro alchemica di trasmutazione parte dal concetto d’imitazione perfetta della natura.
L’alchimia greco alessandrina, di cui l’esponente più importante è Zosimo di Panopoli, è un intreccio di magia egizia, filosofia naturale greca, neoplatonismo, astrologia babilonese, mitologia pagana, espresso in un linguaggio enigmatico, con operazioni di mortificazione, vivificazione e sublimazione del materiale e dello stesso operatore, descritte sotto forma di visioni oniriche. Il risultato delle operazioni alchemiche deriva da una conoscenza profonda della natura, da pazienti procedimenti sperimentali, ma è anche un dono divino, se l’azione sperimentale intrapresa è meritevole di riceverlo.
Con l’alchimia alessandrina nasce il concetto di morte necessaria alla trasmutazione, la pratica della macerazione o putrefazione nell’opera al nero, della completa dissoluzione e separazione dei componenti eterogenei e corruttibili, perché si dia vita ad una sostanza completamente nuova. In questo modo i componenti originari perdono la propria identità e da ciò nasce il concetto della chimica moderna della irreversibilità di ogni processo.
Da Aristotele si traggono i concetti dei quattro elementi e della trasformazione reciproca dei contrari, le distinzioni tra sostanza e accidente, potenza ed atto, materia e forma, corpi omeomeri e anomeomeri. Gli omeomeri sono i più semplici fra i corpi misti, cioè composti dei quattro elementi in cui la materia è organizzata, in modo tale che in essi non possano distinguersi parti diverse, dal punto di vista della composizione e della funzione. I metalli e i minerali in genere sono corpi omeomeri e quindi più facili da trasmutare, perché racchiudono un unico potere archetipico, assai concentrato.
Non da Aristotele, ma dalla tradizione religiosa egizia, l’alchimia trae il concetto del potere evolutivo della materia, non necessariamente opposto alla dimensione spirituale, di una prima materia unica, da cui si sono formati i vari metalli e tutto il cosmo, e che rende possibile la trasmutazione. I metalli quindi vanno privati delle loro qualità specifiche, per ricondurli alla loro materia proteiforme comune, ricettiva e malleabile, e successivamente per conferire loro le proprietà perfette dell’oro.
L’arte può essere intuita immediatamente grazie all’ispirazione di un demone o nume e in questo caso si può parlare di via breve; oppure mediante la sperimentazione e la messa a punto di tecniche lette o insegnate gradualmente e in questo caso si può parlare di via lunga. In questo iter l’alchimista segue lo stesso processo che attua l’Assoluto per la continua e costante creazione del mondo, tramite le forze plasmatrici archetipiche.
La dottrina ermetica dell’unità del tutto non allude solo alle interconnessioni causali, che attraversano il cosmo intero e istituiscono una serie di simpatie e antipatie fra le parti, ma anche ad una reale unità di tutti gli aspetti dell’universo, in quanto fuoriescono da una sola e medesima radice, da una sola e medesima materia. I metalli si trasformano gli uni negli altri, perché il loro principio è una cosa sola. Dunque l’alchimista restituisce ai corpi e all’uomo la loro natura originaria, con un ritorno ad una materia incontaminata, paragonata all’oro non ossidabile, non corruttibile.
E’ necessario risalire dai corpi derivati alla loro origine, per dare inizio ad un nuovo processo generativo, che mira alla produzione di un corpo perfetto, inserendosi nelle oscure operazioni della materia, governandole dall’interno. Tutte le cose si trovano già in una situazione di composizione spirito-corpo, ma si tratta di un equilibrio precario, soggetto ad alterarsi e a provocare deterioramento e malattia. Esse vanno trasformate, perché diventino stabili e durature.
Con queste caratteristiche originarie, sia teoriche che operative, l'alchimia è diventata, specialmente a partire dall’Umanesimo e dal Rinascimento, un sistema volto alla trasformazione psicofisica dell'uomo, con pratiche che rispettino le leggi di natura, simili o analoghe a quelle utilizzate per la lavorazione dei campi.
Da una scuola alchemica araba, quella assai proficua di Gabir, deriva il Libro della Agricoltura Nabatea di Ibn Washshiyya (IX X sec.), dove è affrontato il tema della produzione di sostanze viventi, utilizzando le tecniche dell’agricoltura, ma anche pratiche magiche babilonesi ed egizie. Quindi la trasformazione proposta dall’alchimia evita procedimenti contro natura e rispetta l’ordine con cui le diverse parti sono interconnesse, anche se l’arte della trasmutazione o del perfezionamento della natura è portata a termine tramite gli artifici dell’alchimista.
Ad esempio, l’alchimia mentale o interiore evita l’uso di droghe, di sostanze psicotrope, però altera con vari artifici la produzione di sostanze endogene, prodotte dal corpo, nel corso di operazioni incisive, che vanno ad impressionare i componenti più reattivi del nostro composto. Come nei processi della natura, le tecniche sono semplici e mai troppo complicate o prolungate, perché la complicazione, come l’eccessiva durata, ne diminuisce l’efficacia.
Il trattato Asclepius, già tradotto in latino nel Medio Evo, è la parte del Corpus Hermeticum che più ha influenzato la formazione della teoria e della prassi alchemica occidentale. Gli altri trattati, portati in Occidente nel 1460 e tradotti dal greco in latino dall’umanista e neoplatonico Marsilio Ficino col titolo di Pimander, riguardano più l’ermetismo magico. In particolare vi sono le tecniche per realizzare i simulacri e talismani, che sono pietre o lamine di metallo lavorato in un momento astrologico determinato, incise, scolpite o iscritte con raffigurazioni, nomi o segni diversi, suffumicate con incenso, esorcizzate con la pronuncia dei nomi di geni o angeli, o con più complesse preghiere, e infine sotterrate o appese al collo.
Nell’Asclepius vi è una visione ottimista del destino dell’uomo che ricerca la conoscenza, con una concezione unitaria delle polarità materia spirito, tramite un possibile accordo della ragione umana con la ragione del creato. In altri trattati, più condizionati dal gnosticismo e dalla teologia cristiana, vi è una visione pessimista, con una concezione dualistica della polarità materia spirito, un sentimento forte della malvagità e del disordine del mondo a causa della sua caduta in sfere infere o nel peccato originario, con un rifiuto della corporeità dell’uomo per una fuga verso ciò che è ultramondano.
Nell’ermetismo rinascimentale, al contrario, il sapiente o l’iniziato, in quanto immagine dell’Eterno, può penetrare la ragione del tutto mediante una discesa nell’interiorità: se conosce sé stesso, conosce anche il mondo, ben sapendo che egli stesso è una emanazione o un riflesso dell’Uno. L’interiorità umana è il prisma in cui si rifrange la realtà esterna, in particolare i sette archetipi planetari e gli archetipi zodiacali, sicché la conoscenza di sé stesso diventa mezzo esclusivo di conoscibilità dell’altro da sé.
Pertanto l’ermetismo, tramite persone carismatiche, non trasmette semplicemente dei contenuti, ma media e dirige l’intelletto di ciascuno, che deve saper trovare la verità in sé stesso. La predisposizione al male e al vizio è ignoranza di sé stesso e del mondo spirituale in esso contenuto. Un fondamento spirituale equilibrato inquadra la vita umana, dirige la ragione mondana e la rende legittima e fruttuosa. Provvedere alle giuste necessità del mondo è un compito che appartiene al uomo e che ha la stessa dignità dell’altro suo dovere, quello di integrarsi con l’Eterno.
Operare sulle cose inferiori mediante le superiori è il segno della investitura divina che ha reso l’uomo prosecutore dell’azione creatrice dell’Assoluto. La logica e la leggibilità del mondo si rendono concrete nel movimento dinamico del pensiero umano, come il fare dell’uomo pone alla luce le infinite possibilità racchiuse nel grembo della natura, perfezionando l’opera che l’Assoluto ha lasciato come in sospeso, in attesa dell’intervento del suo imitatore, tramite le arti e le scienze, perché il mondo non è perfetto senza di esse. Sulla base delle teorie dell’Asclepius, già la scuola filosofica neoplatonica di Chartres, sorta nel X secolo e proseguita nel secolo successivo, ammette uno spirito immanente nella materia, l’anima mundi degli alchimisti, ed attua una rottura con la tradizionale riduzione della causalità naturale alla volontà di dio.
Lo spirito eterno e l’anima infinita del mondo sono rispettivamente fonte di ordinamento e di vivificazione di tutta la realtà, danno vita e nutrimento a tutte le cose che sono nel mondo. Lo spirito e l’anima sono soffio, suono e luce primordiali, organi o strumenti soggetti alla volontà dell’Uno, che si fa veicolare dall’uomo per essere consapevole di sé. Presente ovunque, l’anima universale si mescola a tutte le cose e le vivifica, diffondendosi in ciascuna di esse secondo la natura che l’Assoluto le ha assegnato, ossia individualizzandosi in relazione al soggetto recipiente. Così la trasmissione dell’unica vita si pluralizza nelle multiforme varietà di modi di vivere, pur mantenendosi l’unità del cosmo e le comunicazioni tra le parti.
L’intelligenza dell’Assoluto che emana l’universo è perfetta di per sé ed è strutturata secondo archetipi immutabili, ma aumenta nella quantità delle informazioni, elaborate dalle coscienze e contenute nei patrimoni mentali degli esseri viventi. Nel corso dei millenni, questo sistema formativo e informativo, potenzialmente infinito, si diversifica in qualità e in diversi livelli di comprensione, si esprime in una infinita gamma di combinazioni. Nello stesso modo i sette colori e le sette note, nel corso della storia dell’arte, hanno prodotto migliaia di dipinti e musiche diverse, senza per questo alterare la struttura dei colori e delle note fondamentali. Tutto ciò mantiene costantemente viva e desta la coscienza dell’Assoluto.
La pratica alchemica fa riferimento alla catena di azioni e reazioni simpatetiche delle diverse anime, degli spiriti individualizzati nei vari corpi, ma che in realtà sono un unico spirito. Si tratta di una conoscenza che ritrova l’unità nel tutto, non limitata dai sensi grossolani, dalla divisione del sapere in settori specializzati, dalla visione di una natura distaccata dal suo riferimento ultraterreno, in una proficua interazione fra conoscenza della natura e sapienza metafisica, fra pensare e fare.
La magia e l’alchimia del Rinascimento utilizzano una mente umana niente affatto decaduta dal suo stato originario e in grado di controllare autonomamente la realtà, senza dover attendere uno stato di grazia trascendente. Ma è un insegnamento riservato a persone capaci di recepire nozioni elevate.
La conoscenza ermetica è a disposizione dell’uomo, ma in realtà è accessibile solo ai puri di cuore, ai saggi, ai meritevoli, perché gli impuri e gli ignoranti abuserebbero delle conoscenze che individuano i nessi causali della natura, e causerebbero danni a sé e agli altri. Le conoscenze magiche alchemiche non sono buone o cattive, sono neutre, ma diventano buone o cattive per l’uso che l’uomo ne fa e pertanto vanno protette.
Per concludere, nell’alchimia umanistica spiccano la teoria delle corrispondenze che legano le parti dell’universo, l’idea di una natura vivente in tutti i suoi componenti o livelli, anche i più infimi o microscopici, la nozione di una immaginazione che scopre e impiega mediazioni di ogni genere per rendere operative le corrispondenze e conoscere le entità mediatrici tra il mondo terreno e quello celeste, l’esperienza della trasmutazione come vera e propria seconda nascita, resa possibile dall'illuminazione conoscitiva.
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