Non ci è difficile immaginare la Terra, il nostro Mondo, costituito dai quattro elementi, Terra, Acqua, Aria, Fuoco, basta osservare con gli occhi aperti il paesaggio che ci circonda e ci è subito evidente …
Forse è più difficile sentire noi stessi come un microcosmo, un piccolo mondo in cui Terra, Acqua, Aria e Fuoco sono in relazione fra loro. Più questi elementi sono in armonia, più il nostro percorso nella vita è in espansione e ognuno di noi riesce a creare quella sintonia con se stesso e contemporaneamente con l’Uno che gli permette di percorrere il pilastro dell’Equilibrio dell’Albero della Vita, l’unico, a differenza del pilastro della Misericordia e del pilastro del Rigore, che unisce Keter a Malkut, il Cielo alla Terra.
Percorrere il pilastro dell’Equilibrio, come ogni cammino, comporta cambiamento: non possiamo camminare stando fermi sul posto, non possiamo crescere rimanendo abbarbicati alle nostre certezze.
Per camminare in armonia dobbiamo essere uno, con mente, corpo e cuore uniti: se una parte di noi resta ferma continuiamo a fare un cammino apparente come se un guinzaglio ci legasse alle parti di noi incollate alle nostre credenze.
Quando io rifiuto il cambiamento, continuo a girare come raggio di un cerchio: una parte di me resta fissa al centro e l’altra percorre la circonferenza: Il piano è sempre lo stesso e il movimento è solo apparente, faccio sempre lo stesso giro e mi succedono sempre le stesse cose. Quando invece il mio percorso è sì legato al centro, ma si innalza su piani di coscienza diversi, la mia vita non disegna più il raggio dello stesso cerchio ma è una spirale in continua evoluzione. In questo caso, quando ritorno sulle stesse tematiche, perché la spirale ripercorre la stessa circonferenza, ci ritorno su un piano diverso e le affronto in modo nuovo.
Nel cambiamento una parte di me si distrugge perché si formi una nuova me stessa (solve et coagula). Mi libero di tutto ciò che non mi serve più, come quando facciamo la pulizia degli armadi o togliamo le erbacce da un’aiuola. E’ un percorso di purificazione in cui bisogna partire da dove si è senza giudicarci sapendo che dove sono è il mio punto di partenza per camminare verso la quintessenza, il nuovo me stesso che sorge dalle ceneri dov’è bruciato il vecchio me. Lasciar morire il vecchio e far rinascere il nuovo: non c’è cambiamento che non includa la fase della morte e quella della rinascita.
Nel mio lavoro, dove incontro le persone per aiutarle nel loro cammino, ascolto tante storie, vedo tanti cambiamenti, mi sento fortunata ad assistere in prima fila a tante trasformazioni, assaporando lo spettacolo della vita, che ogni giorno di più mi commuove per la sua straordinaria bellezza.
Quando mi trovo davanti ad una persona a volte mi accade di sentire che è una vita troppo piena dove non posso entrare e allora sto alla porta e busso: chiusa nella sua paura vorrebbe ma non ce la fa a camminare la vita.
Altre volte sento che sono davanti ad una vita vuota dove la persona si è accomodata perché ci sono buchi grandi; sta lì finché qualcosa non la spazza via e allora sente il vuoto e ne ha paura: è vicina, pronta a camminare, basta fare il primo passo e parte.
A volte mi trovo davanti a vite, e sono poche purtroppo, dove la persona si sente come un seme nella terra, accolto per poter germinare quello che è, e questo mi commuove: vedere la trasformazione in atto è sempre un grande miracolo.
La teoria dei quattro elementi viene generalmente attribuita ad Empedocle, sul cui conto disponiamo di poche notizie tramandateci da Diogene Laerzio. Egli denominava “radici di tutte le cose” il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra, sostanze originarie, indistruttibili e qualitativamente immutabili. Gli elementi trascendono la loro natura materiale, essi sono divini. Un frammento empedocleo lo suggerisce con chiarezza: «Poiché sappi primieramente che quattro sono le radici d’ogni cosa, Zeus cadente, Era avvivatrice ed Edoneo e Nesti che di sue lagrime distilla il fonte mortale».
E’ più che evidente la risonanza con i pitagorici, che veneravano il numero quattro e lo consideravano altamente significativo.
Il Fuoco e l’Aria vengono chiamati elementi superiori, Acqua e Terra elementi inferiori. I primi agiscono sugli elementi inferiori cercando di innalzarli e al tempo stesso gli elementi inferiori agiscono su quelli superiori cercando di abbassarli. Michele Sendivogius, alchimista e filosofo polacco del XVI sec., dice: “è per mezzo di questa attrazione e repulsione degli elementi che il mondo respira e vive, comunicando l’essere delle cose superiori a quelle inferiori e viceversa”.
Mi piace pensare a questo come il respiro del mondo: dialogo tra terra e cielo e in questo dialogo l’uomo, che vive aggiungendovi il suo respiro, respiro che passa attraverso il diaframma che si abbassa e si innalza mettendo in comunicazione l’alto con il basso (Tabula Smeragdina), il cielo e la terra. Un mondo che respira e dialoga con me, e io, respirando, respiro il respiro del mondo.
Esercizio:Proviamo ora a respirare ascoltando. Passiamo qualche momento così immergendoci in questa bellezza, l’uomo e l’universo che respirano insieme e respirando comunicano come un uomo e una donna che fanno l’amore.
Gli elementi sono caratterizzati da specifiche qualità: secco-freddo per la terra, freddo-umido per l’acqua, umido-caldo per l’aria, caldo secco per il fuoco.
Terra, acqua, aria e fuoco possono agire sulla natura delle cose in due maniere: interazione attiva: quando operano su qualcosa per modificarla: ad esempio, se la terra è secca, le do acqua; interazione passiva: quando interagiscono tra loro ricreando un nuovo equilibrio.
Come quando nel fare una torta uniamo gli ingredienti uno ad uno e man mano li incorporiamo all’impasto, così nella nostra vita siamo chiamati ad unire un elemento alla volta e integrarlo al nostro vissuto: ogni incontro con un elemento è una vera e propria iniziazione.
Che la terra sia il primo elemento del nostro impasto lo troviamo anche nella Genesi: “Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata perché il Signore Iddio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo” (Gen. 2,4-6).
All’inizio c’era solo terra e non c’era vita, poi Dio separò la terra dalle acque e quando terra e acqua si riunirono nacque la vita e nella vita l’uomo.
“Dio formò l’uomo dal fango della terra, gli insufflò nelle narici un alito di vita (in ebraico nefesh) e l’uomo divenne anima vivente” (Gen. 2,7).
Nasce il primo essere umano, Adam, fatto di terra, in ebraico adamah.
Ha la vita ma gli viene detto “finchè tornerai alla terra perché da essa sei stato tratto” (Gen. 3,19).
Dalla Terra nasce l’uomo con l’Acqua, come se Dio fosse un vasaio che modella; non c’è vita senza l’acqua, ma non basta e quindi arriva l’Aria, il soffio di Dio; Il Fuoco sembra mancare…forse è l’Amore di Dio?
La Terra da cui partiamo, quindi, è una terra non lavorata!
La persona che non fa nessun lavoro su se stessa è una terra dura, rigida, non arata, non irrigata. Se manca la terra, manca la certezza, l’autostima e quindi sto fermo, non c’è movimento nella mia vita. Come faccio a muovermi se mi manca la terra sotto i piedi? Se la terra è dura la sento come un peso che mi opprime, amo attraverso la materia: ti regalo qualcosa, ti faccio da mangiare, cerco di dare una stabilità attraverso sicurezze materiali.
Quando alla terra che noi siamo manca l’elemento acqua, la persona si sente sterile, non amata e con un eccesso di responsabilità: assenza di emozioni, congelate dentro il ghiaccio del cuore arido. Non può dare frutto, c’è polvere, compattezza, un suolo quasi cementato. Quando nel nostro orto non nasce niente siamo poveri, e quando siamo poveri siamo mendicanti, dipendenti, manipolabili e ci trasformiamo come gli altri ci vogliono.
Con la mancanza dell’elemento aria, il suolo può essere bagnatissimo, ma comunque compatto, pantano in cui si affonda. L’aria fa che la terra sia morbida, che ci sia spazio fra le zolle e che queste possano accogliere il seme. La mancanza di aria rende tutto uguale, come una superficie piatta. Con la mancanza d’aria abbiamo contrazione nella nostra muscolatura; la persona non osa, comincia a pensare prima che le cose accadano. E’ controllore, fa fatica a volare. Non prova cose nuove, non sperimenta. Il vento solleva le cose e mostra quello che c’è sotto; non va a sciogliere i nodi, ma ci mostra quello che c’è: asciuga la terra, sennò tutto diventa fangoso e paludoso e tu ti senti invischiato.
Con la mancanza dell’elemento fuoco, la terra è fredda, non cresce nulla per mancanza di calore e si secca o marcisce prima della maturazione. E’ un ciclo che non si conclude, la persona non riesce a trovare il gusto delle cose, non si gode il risultato. Chiude l’esperienza prima di giungere a compimento: “lo lascio io prima che mi lasci lui…”
Tende a rimanere più nella fase iniziale che nella concretezza….tanti inizi senza stare nella maturazione, dentro il percorso.
INIZIAZIONE DI TERRA
Da questa terra dura e sterile dobbiamo partire, creare movimento. E questo, nella Bibbia, ci riporta ad Abramo, il primo patriarca. Dio fa un patto con lui perché Sara, sua moglie, è sterile e non dà frutto. Va via dalla tua terra, dice a lui e a noi, hai una terra dura, fangosa, fredda … vai … allora la tua terra produrrà tanto frutto e i tuoi discendenti saranno più numerosi delle stelle in cielo. Dio indica la strada attraverso queste parole: “lech lechà”, parole in lingua ebraica che letteralmente significano “vai fuori da te stesso”, vai fuori da tutto ciò in cui sei cresciuto, dalle tue credenze che ti hanno modellato e imprigionato, vai fuori da ciò che conosci e fidati della strada, essa ti condurrà. “Lech lechà sono parole rivolte a me, a te: tu che sei fermo, tu che sei paralitico, attaccato a tutto ciò che credi, vai verso l’ignoto e lasciati sorprendere da ciò che sei.
Esercizio: Il viaggio comincia dalla terra, da arida a fertile.
La fertilità la incontreremo a partire dall’ascolto della nostra infertilità.
Ci prendiamo un momento all’aria aperta per osservare la nostra vita e i suoi frutti. Mi sento fertile? In che cosa? Quali sono le zone della mia vita che ancora non hanno prodotto frutto?
La mia iniziazione di terra è avvenuta dopo un grande terremoto che ha sconquassato la mia vita: mi ero ammalata gravemente e dopo il ricovero in ospedale il mio fidanzato mi ha lasciata. Ho vissuto un tempo di paura e solitudine finché non ho sentito che qualcosa dentro di me stava cambiando e ho guardato inorridita le crepe che si aprivano sul terreno che con fatica avevo indurito perché nulla potesse toccarmi e farmi del male. Mi sono sentita come Abramo che ha avuto il coraggio di partire ma per paura svende ciò che ha compresa la moglie. Non ero più terra dura e l’entusiasmo era evidente in me, non ero ancora terra fertile e combattevo contro paure e bisogni che credevo di colmare con la ragione.
In questo viaggio in cui, per inglobare ogni elemento avremo delle fatiche da vivere, abbiamo quattro aiutanti, le quattro virtù cardinali, quattro vie per aiutarci ad integrare i quattro elementi.
Le quattro virtù cardinali, nominate per la prima volta da Platone ne La Repubblica come “virtù” e che da S. Ambrogio in poi verranno sempre dette “cardinali”, permettono all’uomo di sviluppare pienamente la sua umanità, diversamente da quelle teologali che gli consentono di sviluppare la sua relazione con Dio. Le virtù cardinali fanno di un uomo un vero uomo: prima era soltanto un burattino.
La Virtù che ci può aiutare ad equilibrare l’elemento terra è LA FORZA.
Non ci vuole forza d’animo ad iniziare la strada verso se stessi? Lasciare tutto quello che conosciamo per intraprendere il cammino verso cieli e terre nuovi? Proviamo a pensare a delle piccole cose pratiche nelle quali possiamo impegnarci con disciplina: inizio la dieta che continuo a rimandare, tolgo i tacchi che uso perché mi danno sicurezza, tolgo il trucco dietro il quale mi nascondo, cambio strada per andare al lavoro, provo a smettere di nascondermi dietro le battute che faccio con gli amici, scendo dall’altra parte del letto, provo ad accorgermi cosa c’è dietro le mie abitudini… Ci vuole tanta forza per il momento della partenza: tutti i cambiamenti sono faticosi e richiedono la nostra forza, e la forza è una virtù.
Nel tarocco della Forza l’immagine che ci accoglie è una donna che apre le fauci di un leone. Una figura femminile che rappresenta quindi una forza interiore che affronta la possibilità di essere sbranata dalla fiera in un’iconografia che ricorda Ercole alla sua prima fatica con il leone di Nemea, quando, dopo aver cercato di vincerlo con tutte le sue armi, lo smascella a mani nude.
Proviamo ora a guardare le immagini di Giotto nella cappella degli Scrovegni: la forza è una donna che tiene in mano lo scudo, guardiamo il suo baricentro: la testa e i piedi sono in linea diretta. Guardiamo il suo contrario, la figura dell’incostanza: poggia i piedi su una ruota che gira e diventa ella stessa una ruota. Perde l’equilibrio, non ha stabilità e tutti gli sforzi sono rivolti alla ricerca di equilibrio. Non può impegnarsi in niente altro. Tutta la sua energia è concentrata nella paura di cadere.
Il primo passo richiede il nostro coraggio e la nostra centratura. Può avvenire per nostra scelta o perché la vita ci chiama attraverso qualche evento doloroso che crea in noi un terremoto, che ci scuote dalle fondamenta e ci invita al cammino.
INIZIAZIONE D’ACQUA
La nostra uscita dalla durezza e immobilità della terra sterile avviene attraverso l’unirsi dell’elemento acqua con l’elemento terra. La terra rigida viene inondata come l’Egitto con il Nilo: all’inizio la terra non assorbe tutta l’acqua e si formano dei ristagni, ma piano piano l’acqua penetra nella terra e la umidifica. L’iniziazione acqua fa fluire le emozioni: si piange molto di più, si abbattono gli schemi della nostra razionalità, si ricordano di più i sogni, si allentano tensioni e ristagni energetici nel corpo. Si diventa più sensibili, si lascia libero sfogo all’immaginazione: si riesce ad osare di immaginare se stessi in un’altra forma. Si creano crepe e brecce da cui affiorano ricordi, episodi dimenticati, emozioni sepolte, frasi ed immagini che appaiono un po’ alla volta e ci fanno imparare a dare un sapore emozionale ad un ricordo. In tutto questo si muove l’energia acqua dell’Universo e tutto accade: ci ritroviamo a vivere degli eventi che ci aiutano a fare pulizia nella nostra vita, nasce amore verso gli altri e un sentimento di amicizia verso tutte le persone. Si comincia a sperimentare la relazione che tira fuori la parte più viva di noi, quella che fa più male perché contattiamo le nostre ferite e questo, anche se è doloroso, ci permette di crescere e….anche se è faticoso è importante ringraziare.
Esercizio: prova a ricordare un momento in cui sei stato iniziato dall’acqua; quando hai sentito le tue emozioni fluire maggiormente? Hai iniziato a ricordare i sogni? Sono emersi ricordi della tua vita?
poi guardati allo specchio, osserva il tuo volto: l’acqua permette di specchiarsi, ma per potersi vedere chiaramente l’acqua deve essere pulita e calma. Bisogna attendere un po’ perché questo accada.
Con l’elemento acqua iniziamo a Vivere: l’acqua è l’elemento che ci permette di essere degli iniziati, persone che, la vita, provano a mangiarsela, si nutrono della vita: morti – risorti. E’ per questo che la prima iniziazione della vita cristiana è il battesimo, l’incontro con l’acqua.
Nell’iconografia del battesimo di Gesù vediamo scendere una colomba dal cielo (bello l’esempio di questo mosaico del battistero di S. Giovanni Battista davanti a S. Maria del Fiore a Firenze, Storie del Battista, sec. XIII) , ma noi questa colomba l’abbiamo già vista in un’altra iconografia, quella dell’annunciazione, quando la vita di Gesù inizia nel ventre di Maria. Guardiamo questa annunciazione di Filippo Lippi del 1445.
Sembra di sentire le parole che i due si rivolgono: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,34-35).
Ora guardiamo “il battesimo di Gesù” di Pier della Francesca del 1450. Sono due iconografie diverse con stili completamente diversi ma soffermiamoci sulla colomba. E’ scesa dall’alto per indicare la nuova vita nel ventre di Maria e scende dall’alto ancora perché questa iniziazione acqua è il nascere di una nuova vita, un nuovo inizio.
Ma vediamo altri esempi di incontro con l’acqua. La nascita di Venere che tutti conosciamo in quest’esempio del Botticelli non ha bisogno di commenti, è un dipinto da ascoltare, parla da solo.
Dal mondo antico ci arriva anche il mito di Diana ed Atteone raffigurato splendidamente in una stanza del castello di Fontanellato rimasta segreta per secoli. Atteone era un cacciatore che inavvertitamente trova la dea che si lava in una fonte; per questo viene punito e trasformato in cervo sbranato dai suoi stessi cani. E’ arrivato a contatto col divino per caso, non per frutto di una ricerca: non era pronto e viene distrutto dalle sue stesse energie quelle che aveva utilizzato per cercare. A Fontanellato il Parmigianino fa in modo che le immagini del mito si susseguano lungo la stanza in una struttura che, come possiamo vedere nelle foto, ci ricorda, nello steccato e la siepe che la protegge, un hortus conclusus che si apre in un cielo dipinto nel soffitto che ha al centro uno specchio: si può specchiare solo chi è esattamente al centro della stanza.
Di donne che fanno il bagno ne troviamo anche nell’Antico Testamento dove possiamo restare affascinati dalla storia di Betsabea (la vediamo raffigurata qui da Artemisia Gentileschi) di cui re David si innamora quando la vede intenta a lavarsi, una storia d’amore, tradimento e pentimenti.
Altro esempio è quello di Susanna e i vecchioni (Libro di Daniele, cap. XIII). La vediamo in questo dipinto di Guido Reni del 1620.
Susanna fa il bagno nel suo giardino, due vecchioni, rappresentanti della legge del paese in cui vivono, la vedono e le dicono che se non si darà a loro, la denunceranno per adulterio. Susanna si rifiuta e viene condannata ma salvata dal profeta Daniele che ha il coraggio di dire la verità davanti a tutti. In questo dipinto Susanna è luce nella sua nudità, una luce che illumina il buio. I vecchioni sono più luminosi del buio ma viene da arretrare davanti a queste mani che afferrano le vesti e questo dito portato alla bocca ad imporre il silenzio, gesti ancora più evidenti in quest’opera di Artemisia Gentileschi del 1610 (Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden).
Se è facile che la nudità rappresenti la nostra essenza, ciò che ognuno di noi è quando è spogliato delle maschere che ha costruito nel tempo, cosa rappresentano i vecchioni? Secondo me sono l’IO che è vecchio e non vuole morire. Il nostro IO potrebbe essere pronto all’amore, a lasciar andare il controllo e permettere che la materia umana e divina si incontrino, ma fa di tutto per “accaparrarsi” il merito di questa unione, afferra, complotta, trama per mettere a tacere la nostra parte divina. E’ la nostra mente che è “vecchiona”, il cuore resta giovane; chi si ricorda le ferite e di conseguenza ha paura di amare è la mente, il nostro cuore è sempre pronto ad amare in pienezza.
Noi possiamo conoscere l’elemento acqua in cui ci emozioniamo, abbiamo intuizioni ecc… ma diventa iniziazione nel momento in cui la terra secca riesce ad assorbire l’acqua. E si è terra bagnata quando si riesce a sentirsi amati.
Noi siamo terra dura quando siamo convinti che non ci ami nessuno o che sia difficile amarci, siamo terra dura quando sfidiamo gli altri ad amarci anche se i primi a non amarci siamo noi, siamo terra dura quando giudichiamo, tramiamo, creiamo strategie, mendichiamo attenzioni e pretendiamo dagli altri il nostro diritto ad esistere.
Quando ci lasciamo penetrare dall’acqua non siamo più mendicanti, siamo nella libertà, ci sentiamo amati perché amiamo noi stessi. E riusciamo ad amarci quando l’IO si arrende, quando il “vecchione” si arrende. La resa è l’elemento fondamentale.
L’amore è eterno quando è vissuto eternamente anche se solo per un giorno, un anno, una vita. E proprio nel nostro viverlo eternamente usciamo dal controllo della mente, siamo il profeta Daniele che riesce ad essere tramite fra terra e cielo e i “vecchioni” sono sconfitti.
Esercizio: Mi sento amata? da chi? Scrivi in un foglio i nomi delle persone che ti vengono in mente Alla fine dell’esercizio…controlla se nell’elenco fatto ci sei anche tu.
La mia iniziazione d’acqua parte da un sogno ricorrente che ogni tanto mi visitava: ero in piedi sopra una zattera, le mani strette ad una corda che attraversava il fiume e che io tenevo saldamente in mano, i piedi che facevano forza sul legno della zattera che seguendo la corrente del fiume scivolava sotto di me. Volevo lasciare la corda e lasciarmi andare alla corrente ma mi mancava il coraggio…. Ogni volta mi svegliavo con il desiderio di aprire quelle mani ma non lo facevo.
Un giorno per lavoro mi ritrovai davanti ad un affresco …. la notte era stata abitata sempre dallo stesso sogno … guardai il Cristo di quell’affresco e pregai: “non ce la faccio ma voglio lasciare quella corda, voglio partire….”
E partii, andai ad Assisi, mi ritrovai in un convento in una piccola cappella dove cinque suore mi circondarono dicendo “Signore, se questa donna è arrivata qui, non è un caso, dalle ciò che cerca….” Cominciai a piangere tutte le lacrime che non avevo pianto negli anni precedenti, piansi per giorni e poi di seguito quando tornai a casa. Mi sentivo una bistecca tolta dal freezer e messa sopra un termosifone, un pezzo di carne che perde acqua da ogni cellula. Ho ascoltato i sogni sempre più forti e presenti, ho amato e ho lasciato che la mia fiducia negli esseri umani crollasse e rinascesse ogni volta, ho permesso che il mio ego la facesse da padrone prendendone tutte le conseguenze, senza celarmi dietro l’idea di una sfortuna che mi perseguitava. Mi sono guardata allo specchio scoprendo tutti i segni di ciò che avevo vissuto e ne ho ascoltato la bellezza. Non mi sono più nascosta dietro l’idea di donna forte che non ha paura di niente e ho guardato con tenerezza al mio essere stata mendicante in terra straniera. Ho cominciato ad ascoltare il cuore delle persone e ad amare ciò che vedevo sapendo che ognuno fa le sue fatiche, ci prova, sbaglia, ritenta ….
La Virtù che ci può aiutare ad equilibrare l’elemento acqua è LA TEMPERANZA
Osserviamo il tarocco che la rappresenta: una donna che unisce il contenuto di due brocche. La parola temperanza deriva dal verbo latino “temperare”, verbo che ci rimanda all’atto di unire l’acqua al vino per regolarne il grado alcolico. Quest’atto ci ricorda anche il rito dell’eucarestia in cui si unisce l’acqua al vino per simboleggiare l’unione dell’umano e del divino in Cristo. Nell’arcano della temperanza il contenuto delle brocche si unisce al di là della forza di gravità così come si uniscono i colori del blu e del rosso nelle vesti della donna e la sua sembianza umana alle ali da angelo.
La temperanza ci aiuta alla fusione, a mettere insieme quelle parti di noi che prima erano divise, unione che sconfigge lo spazio e il tempo e quindi è eterno.
E’ la virtù che ci porta ad onorare noi stessi e gli altri sentendoci esseri divini che stanno facendo un’esperienza terrena.
INIZIAZIONE D’ARIA
L’effetto dell’elemento Aria è quello di alleggerire la materia e creare uno spazio fra zolla e zolla così la terra diventa abbastanza morbida e friabile da accogliere il seme. Il vento asciuga la terra e solleva la polvere. Mentre l’acqua erode e liscia la superficie e quindi non fa vedere cosa la terra nasconde, il vento spazza via gli eccessi e svela i segreti nascosti, ci fa vedere la natura viva delle cose.
Con l’elemento aria integrato alla terra che siamo c’è più spazio tra una cellula e l’altra del nostro corpo, la muscolatura è più rilassata e morbida ed è più facile che un corpo non contratto ci mostri quello che c’è dentro di noi.
L’aria però è meno controllabile dell’acqua che può essere trattenuta dalle dighe. L’aria può essere un venticello leggero, ma anche un uragano impetuoso e a volte distruttivo, ma soprattutto… privo di controllo.
Se nell’iniziazione acqua siamo diventati più sognatori, portati a commuoverci, ad amare, qui nell’iniziazione aria c’è la perdita del controllo e dobbiamo arrenderci e lasciare che accada quel che accade.
Il passaggio da terra “dura” a “morbida" passa attraverso un riscaldamento: dal freddo-umido dell’acqua passiamo all’umido-caldo dell’aria. E questo aumenta la nostra energia, è un vento che sbatte le porte, siamo smossi nelle fondamenta. Il caldo ci porta ad essere grandi amatori, persone in movimento, più realizzatori, più vivi, con maggior entusiasmo; ma se non integriamo questo elemento alla terra, l’aumento di calore diventa nervosismo, ansia, rabbia. Sta a noi come gestire tutto ciò. Devo tenere presente che è iniziazione quando riesco ad integrare questo elemento nella mia natura, non “sopportare” ma “integrare” per crescere e trovare l’equilibrio.
Con l’elemento aria entriamo in una maggior libertà del vivere e la vita è caratterizzata da un senso di leggerezza; il vento ci sposta di più, è una dimensione più sottile; si affronta la vita in modo più sereno perché ci si è ripuliti delle scorie precedenti. Questo c’era anche prima, ma ora c’è un maggior collegamento con il cielo: si diventa più immaginativi.
Si attiva la sincronicità: penso ad una persona e la incontro, immagino e accade, mi faccio una domanda e la vita mi risponde. Essendo più in sintonia con l’elemento dell’universo, le risposte arrivano in modo più veloce ed il collegamento è più semplice.
Siamo permeati da un maggior senso di sacralità: ci danno molto più fastidio le cose che gli altri non vedono, come se fosse un senso di non rispetto nei confronti dell’Universo, per cui non ci sentiamo più a nostro agio in certe situazioni.
L’iniziazione d’Aria è importante nel nostro percorso verso la purificazione. E’ bella la leggerezza che ci fa muovere oltre il nostro controllo ma ci fa sentire smarriti perché siamo abituati ad un autocontrollo che non ci riesce più.
Il testo di Atti degli Apostoli 2 racconta che il giorno di Pentecoste la casa dove i discepoli erano insieme in preghiera fu riempita da un vento impetuoso.
Il termine ebraico per vento è proprio lo stesso per Spirito, Ruah, e Gesù stesso, parlando a Nicodemo della nascita nello Spirito, aveva fatto riferimento all’effetto dello Spirito come all’effetto del vento: "Il vento soffia dove vuole” aveva detto “e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene, né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito".
Gli antichi chiamavano il vento “il soffio di Dio”. La metafora del vento richiama il primo giorno della creazione, il soffio creatore di Dio. Il vangelo di Giovanni rende esplicito questo riferimento quando anticipa la Pentecoste nell’atto del Gesù risorto che alita sui discepoli dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo".
Colui che integra l’elemento aria è nel presente e vive il presente come unico momento possibile, frutto di un passato vissuto intensamente e diretto verso un futuro che vivrà altrettanto intensamente. Ma resta dov’è gustandolo, accogliendolo, sapendo che oggi ce l’ha e domani non si sa e ama ciò che c’è proprio perché non sa se ce l’avrà ancora.
Nell’acqua abbiamo l’urgenza di sapere chi siamo e dove stiamo andando, nell’elemento aria questo perde importanza. C’è meno attaccamento alle cose, ai rituali, ai risultati. Realizzo ciò che sento, spero perché il percorso è più importante del fine. Come un mandala: tutta la fatica è portata via da un soffio di vento.
L’iniziazione vento quando ci innamoriamo ci porta a dire: grazie perché ho un cuore che sa amare, che batte, che vive, anche se poi la storia non si concretizza e il bisogno non è stato appagato. Abito me stesso e abito la mia vita.
Nel libro dell’Esodo, un racconto in prosa dice: “Il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte soffio d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare all’asciutto . . .” (Es 14, 21-22). Nel capitolo successivo, gli stessi eventi vengono descritti in forma poetica e allora il soffio del vento d’oriente viene chiamato “il soffio delle narici” di Dio. Rivolgendosi a Dio, il poeta dice: “Al soffio delle tue narici si accumularono le acque . . . Soffiasti con il tuo soffio e il mare coprì i nemici” (Es 15, 8. 10).
Un soffio che salva chi era schiavo e uccide chi era carceriere. A volte abbiamo delle parti di noi che sono prigioniere di una parte di noi che comanda: il vento ci smuove al di là di questo condizionamento e libera il prigioniero che non riesce a muoversi. Questo a volte ci fa fare un po’ di spropositi che sono tipici della mancanza di autocontrollo ma è solo un passaggio in cui poi arriva la capacità di un’azione che deriva non tanto dalla disciplina ma dall’essere.
La mia iniziazione aria è avvenuta tramite una partenza. Ad un certo punto della mia vita in cui avevo un bel lavoro, ero direttrice di un museo, che però mi stava stretto e delle relazioni in cui non trovavo più significato, ho deciso di mollare tutto e partire. Sono andata in Thailandia con un biglietto aereo aperto e vi sono rimasta per sei mesi. Ho studiato massaggio thailandese con un maestro che mi ha portato il vento e sono stata massaggiata nel corso dei mesi da un cinese a cui lo stesso vento mi ha portata. Avevo già fatto diverse esperienze nel campo del massaggio in Italia, anche se era una cosa che non mi piaceva e non sceglievo. La mia laurea in archeologia medievale mi aveva portato ad imparare tante cose ma ero lontana dal corpo e la vita continuava a propormi questo tema attraverso una serie di maestri che un po’ alla volta, anche se non volevo, mi hanno portato ad avvicinarmi al mio corpo e al corpo degli altri. Quando sono arrivata in Thailandia sono andata, questa volta volontariamente, alla ricerca di un luogo che mi facesse imparare il massaggio thailandese ma ogni volta in cui andavo in un ospedale, luogo dove c’è la scuola di massaggio-base da frequentare prima di arrivare ai maestri, sentivo che non era il posto per me. Un giorno ho incontrato un canadese che mi incuriosiva per la sua altezza: si è avvicinato a me e mi ha chiesto cosa stavo cercando. In questo incontro, in mezzo alla strada che stavamo attraversando in direzioni opposte, mi ha dato due indirizzi, del dott. Chuang e del maestro Pooh, e io nei giorni successivi, in un’esperienza nella giungla, ho perso il foglietto che li conteneva. Quando sono tornata a Chiang-May, la città in cui vivevo, decisa a ripartire sconsolata, sono andata in un tempio in cui mi sono inginocchiata e ho pregato: “sto per partire, ma se è importante che io incontri questi due maestri portami da loro e fa che mi insegnino”. Uscita, ho incontrato un conduttore di tuk-tuk che mi ha chiesto se ero io la straniera che doveva andare dal dottor Chuang. Stupita, sono andata con lui e mi sono ritrovata da questo cinese che per mesi mi ha rivoltata come un calzino, mi ha permesso di ricordare eventi del passato nascosti dentro di me e, non parlando la mia lingua, non riusciva neanche a farmi capire cosa mi faceva. Il giorno dopo l’incontro con il dotto Chuang ho pensato che se il vento mi aveva condotto da lui, potevo usare lo stesso mezzo per trovare il secondo maestro, Pooh. Ho iniziato a guidare la vespetta, che avevo affittato, lasciandomi trasportare dall’aria e alla fine sono capitata in una casa, quella dove il maestro Pooh viveva e insegnava. Non c’era nessuna scritta, nessun nome a cui fare riferimento, e quando il maestro si è presentato e ha visto la mia faccia stupita mi ha detto “E’ qualche giorno che ti sto aspettando. Quando sei andata nel tempio a pregare, lo Spirito, quello che voi chiamate Spirito Santo, mi ha chiesto di insegnarti tutto quello che so”. Io, sempre più sconvolta, ho iniziato ad andare lì tutti i giorni dalla mattina alla sera e lui ha chiuso la sua scuola per insegnare solo a me e portarmi al livello degli altri suoi allievi. Sono state esperienze forti, in cui tutto quello in cui credevo si sgretolava e questo faceva male, esperienze in cui ancora una volta mi sono sentita rinascere e ho gustato la vita in modo nuovo, lasciando che l’amore dell’Universo mi guidasse. Fino a quel momento il mio linguaggio era stato solo orientale, non avevo molto a che fare con il mondo cristiano ma con i monaci, nei templi dove andavo a meditare, ho capito e sentito che il cristianesimo era la cultura di cui ero intrisa e che potevo parlare il mio linguaggio scoprendone un nuovo significato. Quando sono tornata in Italia ho iniziato a leggere la Bibbia con occhi liberi e a studiare la lingua ebraica per potermi avvicinare alla Cabala. Ho fatto esperienze nuove e diverse e si è aperto un nuovo capitolo della mia vita.
La virtù che ci permette di armonizzare l’elemento Aria è la PRUDENZA.
L’iconografia della Prudenza più diffusa è quella di una figura bifronte: davanti il volto è di una donna, dietro di un vecchio. Guardiamola in questa scultura in marmo di Carrara nella tomba di Francesco II di Bretagna (Michel Colombe, 1502, Cattedrale di Nantes): mi sembra ci racconti di come siamo responsabili del nostro passato e del nostro futuro nel nostro vivere bene il presente.
Ogni azione parte da un movimento di respirazione che, se ne siamo consapevoli, mette la nostra azione in dialogo con l’Universo e per questo diventa un atto sacro. Se tutto quello che faccio è dentro una relazione con l’Uno che mi fa tornare indietro, quando non sto comprendendo, finché non ho capito, e io ne sono consapevole, come posso lamentarmi di ciò che accade? questo ho seminato e questo ho raccolto. Si lamenta forse il contadino che ha seminato patate del suo raccolto? Può arrabbiarsi perché non raccoglie fagioli? Se voleva fagioli perché ha seminato patate?
La donna, figura simbolica della Prudenza, ha un compasso che possiamo considerare simbolo della misura necessaria per procedere con prudenza ma se andiamo “oltre” il compasso è anche un indicatore del fiore della vita, base necessaria per disegnare l’albero della vita, simbolo che indica il cammino dell’uomo verso Dio.
Disegnare il fiore della vita è un bellissimo esercizio di apertura. Provate a puntare il vostro compasso su una pagina bianca e tracciate un cerchio: guardatelo; ha un suo centro, il nostro centro, e una circonferenza, il confine della nostra conoscenza del mondo, il limite delle nostre credenze, la linea che traccia i confini del nostro sguardo. Se noi vogliamo disegnare il fiore della vita dobbiamo partire dal nostro centro, dal luogo dove abbiamo puntato il compasso, il luogo del conosciuto e, novelli Ulisse, portare la punta del nostro strumento al limite del conosciuto, ai confini del nostro sguardo e lì puntare ancora il compasso e disegnare un altro cerchio, una nuova possibilità. Continuando a spostare il punto in cui posiamo il compasso un po’ alla volta disegniamo il fiore della vita che ci invita ad un cambiamento armonico, un cambiamento in cui ogni passo ci rende nuovi.
Lo specchio che la figura della Prudenza ha in mano è convesso e permette alla donna di vedere anche quello che la circonda donandole capacità di una visione più ampia. Anche qui credo sia interessante fare l’esperienza di usare uno specchio convesso e osservare le deformazioni che provoca. In questa sede ci limitiamo ad osservare “Autoritratto entro uno specchio convesso” opera del Parmigianino risalente al 1524, posseduta per lungo tempo dall’imperatore Rodolfo II, prima a Praga e trasferita poi a Vienna, ora al Kunsthistorisches Museum. Data la fama del Parmigianino come alchimista (Il Vasari nel raccontare la sua via afferma “avesse voluto Dio ch'egli avesse seguitato gli studii della pittura e non fusse andato dietro ai ghiribizzi di congelare mercurio per farsi più ricco di quello che l'aveva dotato la natura et il cielo, perciò che sarebbe stato sanza pari e veramente unico nella pittura”) una delle interpretazioni con cui viene letta quest’opera è di Fagiolo dell'Arco che vi vedeva una “rappresentazione dell’opus alchemico, con la rotondità della tavola corrisponderebbe alla "prima materia", lo specchio allo sperimentalismo alchemico e l'espressione alla malinconia, tipica espressione del carattere dell'alchimista”. A me viene da associarla al “Doppio ritratto” del Giorgione opera del 1502 conservata al Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma. Non è stata dipinta attraverso uno specchio convesso ma forse l’associo all’opera del Parmigianino per la mano in primo piano e l’umore melanconico che unisce le due opere. Nel dipinto del Giorgione la melanconia è rappresentata dal frutto posto in primo piano, un melangolo, un'arancia selvatica dal sapore acre, che simboleggiava il temperamento dolce-amaro del melanconico. Se osserviamo l’immagine possiamo notare che i due personaggi, che potrebbero anche rappresentare due diversi aspetti della stessa persona, hanno entrambi il braccio in avanti e per un gioco di chiaroscuri non si sa di chi è la mano che tiene il frutto, tanto da dare la sensazione che siano uniti proprio da quella mano.
Il doppio ritratto ci riporta al doppio volto dell’allegoria della Prudenza che nella tarsia del pavimento del duomo di Siena vediamo rappresentata non con due ma con tre teste (interessante la forza della donna rappresentata dalla stretta della mano destra sul serpente e un libro chiuso su cui appoggia il braccio sinistro, segno di una sapienza avvolta dal silenzio, in cui questo essere, uno e trino, racchiude la sua essenza). Le tre teste si rifanno a ciò che ci racconta Dante nel Convivio (IV, 27): «Conviensi adunque essere prudente, cioè savio: e a ciò essere si richiede buona memoria delle vedute cose, e buona conoscenza delle presenti, e buona provvedenza delle future».
A queste parole si rifà anche l’opera di Tiziano (Il tempo governato dalla Prudenza, Tiziano, 1565-70 National Gallery, Londra) a cui alle tre teste sono abbinati tre animali (il cane alla gioventù, il leone all’età adulta, il lupo alla vecchiaia) che troviamo anche nell’iconologia riferita alla virtù della Prudenza di Cesare Ripa. In questa interessante e curiosa associazione dell’uomo e l’animale riecheggiano forse le parole del Machiavelli nel cap. XVIII del Principe: Dovete, adunque , sapere come sono due generazioni di combattere: I'uno con le leggi, I'altro con la forza: quel primo è proprio dell'uomo, quel secondo è delle bestie: ma perche' el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Pertanto, a uno principe e necessario sapere bene usare la bestia e l'uomo.
Aiuta la comprensione dell’opera di Tiziano la scritta che l’autore riporta nella parte alta del dipinto: EX PRETERITO PRUDENTER AGIT NI FUTURUM ACTIONEM DETURPET: dal passato il presente prudentemente agisce per non guastare l'azione futura.
Sono una persona prudente quando accolgo gli insegnamenti del passato e mi comporto nel presente in modo diverso perché ho già vissuto. Se la vita passa attraverso di me senza toccarmi e se rifiuto gli insegnamenti che mi dà perché mi fanno male, continueranno a ripresentarsi le stesse esperienze davanti alle quali io continuo a comportarmi sempre nello stesso modo. E’ importante quindi che io mi chieda: Cosa posso imparare di me stesso da questa esperienza? In questo pensiero porto l’attenzione su di me e non sull’altro.
Esercizio che posso usare per cambiare:
A) Passo un tempo in osservazione - almeno un mese - finché non ho un’idea chiara di qual è la mia reazione allo stimolo che arriva.
B) Mi do un tempo di almeno un mese in cui mi immagino con lo stesso stimolo ma con una reazione diversa, provando ad immaginare più possibilità di azione. L’immaginazione è potentissima: se immaginiamo creiamo un’altra possibilità. Se non riusciamo ad immaginare, chiediamo aiuto ad un alleato: cosa faresti tu in questa situazione? Facciamo in modo di moltiplicare i diversi punti di vista.
C) Fra tutte le possibilità che ho immaginato scelgo e poi agisco! Sapendo che la strada che ho percorso finora e non immaginato è quella che mi verrà più spontaneo prendere, ma anche che ne ho costruite altre con l’immaginazione e mi sono creato altre possibilità. Scegliere fra le diverse possibilità immaginate trasformerà la reazione in azione.
Nei tarocchi la Prudenza è associata all’arcano dell’eremita che se ne va di notte nascondendo la luce della lanterna sotto il mantello per non essere
attaccato dalle belve; ma questa luce gli permette di camminare e di vedere dove mette i piedi. La prudenza dunque ci aiuta a guardare contemporaneamente dove siamo e qual è la nostra meta, un doppio sguardo, lo sguardo di chi sa che ciò che vive ora è frutto del suo vissuto precedente e che se vuole essere creatore del mondo, il suo mondo, può intervenire nel presente per modificare il suo futuro e il suo passato. E’ anche il doppio sguardo di chi ha attivato il doppio osservatore e riesce a guardare se stesso contemporaneamente dentro e fuori di sé. È il passaggio ad un livello di coscienza che ci permette di essere dentro e fuori il tempo, dentro e fuori lo spazio.
INIZIAZIONE DI FUOCO
Le due iniziazioni d’acqua e di aria hanno provveduto alla purificazione del nostro vissuto ma tutto quello che è più duro è rimasto come un grumo nascosto dentro di noi, non solo quello che abbiamo vissuto ma anche ciò che deriva dal nostro albero genealogico o da vite precedenti, cose celate nelle nostre profondità, radicate in noi, pesanti e questo può essere sciolto solo dal fuoco che è l’elemento più forte che ci sia perché scioglie anche i metalli.
Il fuoco è l’ultimo elemento vivificatore che ci porta ad essere terra rinnovata. Lo stesso Giovanni Battista che battezza con acqua dice: “Dopo di me viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slacciare i legacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Luca, 3,16)
Abramo lascia la propria terra: parte con tutte le sue paure, come noi. Siamo governati dalle nostre paure, è normale perché siamo imperfetti e tutto fa parte del nostro cammino. A volte facciamo come Abramo che vende sua moglie Sara: vendiamo la nostra anima, scendiamo a compromessi pur di essere amati e salvati. Siamo immersi nella nostra fragilità.
Esercizio: Chi sta governando la mia vita in questo momento: io o la paura? E’ normale che ci sia, la sento, l’ascolto ma mi interrogo e mi chiedo ogni giorno se ancora voglio che sia lei la padrona della mia vita.
La paura fa parte della vita, ma quando siamo qui non dovrebbe più essere quella che comanda.
Mentre prima facevo fatica ad essere me stesso, ora inizio a vivere compatto, unito, intero. Non sono coerente perché mi ricordo la decisione presa, ma perché sono UNO e cammino nella mia via con l’andamento dell’uomo libero e come tale non ho bisogno di tante parole, scuse, giustificazioni ma sono la manifestazione di ciò che io sono. Ho parole utili, efficaci, dirette: il logos che è capacità creativa e generante. Allo stesso modo l’azione non è frastagliata, frutto di una scelta ma frutto di un essere. Proviamo a pensare alla PENTECOSTE così come ce la suggerisce Giotto in quest’affresco alla Cappella degli Scrovegni : il fuoco scende come forza direttamente in ciascuno dei presenti.
Guardiamo questo particolare (Orcagna e Jacopo di Cione, Pentecoste, Galleria dell'Accademia, Firenze 1362-1365): una lingua di fuoco nel punto della “fontanella”, al centro della testa. E osserviamo lo splendido mosaico rappresentante la Pentecoste nella cupola della Chiesa di San Marco a Venezia.
Per l’iniziazione di fuoco non occorrono parole perché si è partecipi tutti dello stesso miracolo, con lo stesso pensiero e non dobbiamo metterci d’accordo su nulla. L’unione dentro di noi crea unione con il fuori. Non ci sono più divisioni ma una profonda comunione con se stessi e con gli altri; si parla un’unica lingua perché siamo tutti fratelli sotto lo stesso cielo, non come nella torre di Babele dove tutto era tutto disordine e le persone non si capivano e quindi si sentivano sole. Con l’iniziazione fuoco non c’è più un potere personale, chi perde o chi vince, ma si è tutti annullati nell’ego e parte di un unico respiro.
Esercizio: Il segreto dell’alchimista è tenere nell’athanor un fuoco sempre alla stessa temperatura: bisogna imparare a tenere il fuoco costante; il nostro fuoco è l’entusiasmo (dal greco en theos: avere Dio dentro) ed è una sfida, perché l’entusiasmo sale e scende, ci regala momenti alterni e non è semplice dargli una forma di continuità.
Domande: Com’è il mio entusiasmo? La mia passione? Mi appassiono quando sono contagiato dagli altri o riesco a generare passione? Com’è il mio coraggio? Riesco a fare in modo che le mia azioni nascano dal cuore?
Credo che l’iniziazione di fuoco corrisponda al mio momento presente. E’ uno stato dell’essere che appare e scompare. Non si è consolidato in me e non lo conosco abbastanza per poterne parlare più a lungo. Lo intuisco ma non lo vivo.
La virtù che ci permette di armonizzare l’elemento Fuoco è la GIUSTIZIA. Nel tarocco della Giustizia troviamo una donna in trono che ci incita ad usare saggiamente la spada per dividere ciò che nel mondo ci appartiene o non ci appartiene più, per recidere le parti di noi che non ci servono più.
La giustizia sta nel sapere quando è tempo di unire e quando di dividere. Ci invita ad usare la bilancia per essere uomini e donne in equilibrio che
usano la saggezza per trovare il giusto mezzo fra il Rigore e la Misericordia.
Dove non c’è giustizia c’è disordine, caos, sporcizia come si vede nella bellissima rappresentazione dell’ingiustizia di Giotto alla Cappella degli Scrovegni. Nelle scene sottostanti l’immagine dell’ingiustizia vediamo che a vincere è il più forte, mentre in quelle della giustizia tutto è pace e serenità.
La terra è stata smossa; ora è il fuoco a diventare fondamentale perché se viviamo in un terreno freddo i frutti non maturano. Il calore porta alla conclusione di un ciclo che ci dona frutti generosi che giungono a compimento.
Il fuoco può anche bruciare, essere purificazione massima. E’ l’elemento che ha meno controllo di tutti: c’è la necessità di grande padronanza perché è un elemento di distruzione molto forte.
Attraverso la purificazione del fuoco giungiamo alla quintessenza che ci porta alla consapevolezza di essere umani e divini. Alla domanda “Chi sei?” rispondo: sono figlio di Dio, ma anche sono figlio dell’uomo. La nostra terra è diventata fertile perché è bagnata, smossa, asciugata: sono tornata al punto di partenza ma non sono più al punto di partenza.
Sono un uomo partito dal secco che ritorna al secco che si è sciolto e coagulato. E’ un quinto elemento, una nuova essenza: questo è il miracolo. Alla fine del viaggio c’è un nuovo me, non ancora conosciuto; qualcosa che prima non c’era e adesso c’è, che non è più uno stato dell’essere, ma è ESSERE.
Non è ciò che fa, che dice, che pensa….SEMPLICEMENTE E’, poiché è UNO e come tale si manifesta.
NICOLETTA SIMEONE