Centro Studi Ermetici Alchemici

IL LINGUAGGIO FIORITO DELL'ALCHIMIA

Ri-trovare le parole
Sfogliando un testo di Giammaria, il Dizionario Ermetico Alchimico, emerge l’immagine di una Alchimia che si esprime attraverso un linguaggio ben diverso da quello cui siamo abituati e che utilizziamo nelle attività richiedenti un approccio a prevalenza logica-deduttiva.
E’ un linguaggio che stupisce e può lasciare confuso il lettore che si avvicina per la prima volta alla Magna Ars. Si caratterizza per l’apparente bizzarria e tortuosità, ma in realtà veicola significati nascosti ai più, e si è reso necessario per motivi storici e culturali ma anche per facilitare l’accesso a realtà fuori dal comune senso logico, ora dominante, favorendo il libero fluire dell’immaginazione e delle analogie.
Viene da chiamarlo “fiorito” per le tante varietà di gemmazioni che contiene, ricco di contrasti, di abbinamenti di parole che evocano sensazioni sinestesiche dalle sfumature a volte audaci e di rottura, oltre i comuni limiti dell’umano pensare, altre volte evocative e suggestive. Espressioni che richiedono una certa spregiudicatezza e libertà di pensiero per poterle comprendere in chi si cimenta nella lettura del testo o nella comprensione dell’immagine.
E’ un linguaggio che oggi, pur riflettendo lo spirito del tempo, può aiutare a recuperare una dimensione spirituale e dell’anima, aliena dalla funzionalità e dal pragmatismo da cui siamo invasi e condizionati, perché ci riporta a uno stato distaccato dalla realtà ordinaria in cui viviamo e da cui siamo vissuti. Un linguaggio che attraverso una espressione “poetica” ci aiuta a far emergere le parti in ombra esistenti e trattenute in noi.
Lo si può definire anche il linguaggio segreto dell’Alchimia che fiorisce nella sua bellezza solo in chi ha la capacità di coglierlo e vederlo. Linguaggio ben rappresentato dal seguente enunciato alchimico: “Tutti i nostri segreti nascono da una immagine.”

L’Alchimia
Raccontare realmente l’Alchimia è pressoché impossibile e di essa si possono descrivere tecniche, procedure, operazioni. Numerosi sono i testi alchimici, i documenti, le incisioni, alcuni gelosamente custoditi, altri divulgati o raccolti in prestigiosi musei, biblioteche o collezioni private. Molti testi nei tempi attuali circolano in internet o si recuperano nelle bancarelle di qualche rivenditore di libri usati. Si leggono, si commentano, si analizzano cercando di ricavare il significato nascosto e la filosofia occulta che contengono, ma non sono l’Alchimia se non sua espressione divulgativa.
Il motivo è da ricercare nel fatto che l’Alchimia è essenzialmente una esperienza interiore e come tale unica e individuale. Se ne può parlare, ma il racconto avviene sempre attraverso una espressione indiretta, volatile, sovente elucubrata. Non è esperienza in atto, dove mente e cuore si incontrano.
La parola può creare e l’atto creativo deve avvenire in chi la esercita. In questo caso la parola si modella nell’interiorità come cera al sole. Coglierne il processo è estremamente difficile e richiede un lungo esercizio nella sincronicità nel sentire. Diversamente vi sono solo echi che si diffondono e si riproducono in modo stereotipato e ripetitivo. Inoltre, all’eccesso di divulgazione e di informazione corrispondono prevalentemente illusori e superficiali apprendimenti e conoscenze.
La visione dell’eterno moto circolare dell’Uno, che si proietta continuamente fuori di sé in un Tutto molteplice per fare ritorno all’Uno con significati e prese di coscienze raggiunti da coloro che realizzano un cammino di palingenesi, è concessa a chi è in grado di accedere ad assaggi di infinito in un lento cammino di trasformazione spirituale.
Tale visione è colta e fissata attraverso una sensorialità sottile, che si esprime in un linguaggio corporale, emozionale, mentale e così il linguaggio diventa una sorta di mediatore comune e trasversale, quale capacità dell’uomo tesa a mettere in circolo e unire.
E’ una esperienza, come dicono diverse canzoni di Battiato, che conduce a lontane realtà metafisiche, e l’alchimista le vive in primis nel raccoglimento con sé stesso, all’interno del suo laboratorio. Solo in rari e felici casi vi può essere la com-unione, la com-partecipazione con l’altro, dove la risonanza, l’intensità, la flagranza di quanto sta avvenendo si incontrano con l’esperienza altrui. Ed è un incontro che avviene oltre lo spazio ed il tempo che ben conosciamo.

Il laboratorio
Gli alchimisti di un tempo operavano e sperimentavano in un laboratorio o studiolo esterno a cui corrispondeva l’immagine di un laboratorio interiore il cui accesso era consentito unicamente al ricercatore, all’Artifex. Molte rappresentazioni pittoriche di artisti del passato descrivono i luoghi adibiti allo studio, alla sperimentazione. Luoghi spesso raccolti, dove sul tavolo sono poggiati libri dalle scritte complesse, un lume, e nello sfondo alambicchi e vasi dai diversi e incomprensibili formati. Il Fuoco continuamente alimentato nel laboratorio è sempre presente e sovente rappresentato in un angolo da un grande forno, un athanor, o più semplicemente dalla fiamma di una candela. Laboratori dalle parvenze di studioli ascetici, dedicati alla metallurgia o alla lavorazione delle piante.
La lavorazione dei metalli attraverso le fasi che l’Antica Chimica ci ha tramandato richiede una ipotesi di lavoro, la conoscenza di quello che si vuole fare, l’osservanza dei giusti tempi celesti e terresti, l’attenzione dei passaggi e da ultimo una verifica del risultato ottenuto. La stessa procedura vale per le piante e, metaforicamente parlando, per il giardino interno dell’alchimista, rappresentato in allegoriche immagini anche come Hortus Conclusus, Rosarium, Giardino delle Delizie, dove praticare l’Agricoltura Celeste.
Nel laboratorio interiore il Fuoco, attraverso la giusta temperatura e regolazione, consente l’attivazione di un processo di distillazione per la produzione di quell’Elisir in grado di portarci ad un livello maggiore di espansione. Ma è possibile fallire, rimanendo con le ceneri di devastanti bruciature, girando a vuoto in una terra fredda e arida, ristagnando in un’acqua pesante e melmosa, rimanendo avvolti da un fumus dove difficile è la visione. Gli alchimisti di un tempo chiamavano questi inesperti o illusi operatori “soffiatori di carbone o farfalle affumicate.”

Il linguaggio
Sono numerosi gli alchimisti del passato di cui sono rimaste testimonianze attraverso scritti e opere d’arte. A un linguaggio sovente criptato, allegorico e metaforico, oppure a immagini simboliche e archetipiche, affidavano il loro pensiero, le loro ricerche, la testimonianza di quanto in loro avveniva.
Il linguaggio simbolico è stato il principale mezzo di comunicazione, che ha accompagnato nei secoli i Figli di Hermete e continua ad accompagnare anche noi, attuali Filosofi del tempo presente. Linguaggio rappresentato ed espresso attraverso la natura nella sua ciclicità, nelle sue forme, nei suoi esseri viventi, attraverso il cosmo nelle sue leggi eterne ed auree, attraverso lo scorrere del quotidiano.
All’uomo, nei suoi diversi gradi di consapevolezza e lucidità, è data la possibilità di accedervi e coglierlo, immergendosi sia nella lettura che nella scrittura, nella decodificazione dell’insieme delle parole. Si scorre tale linguaggio come un musicista lungo la scala musicale, al fine di passare all’ottava superiore. Passaggi che consentono la sperimentazione di energie vibrazionali diverse.
Attraverso questa modalità il linguaggio scritto e orale, gestuale e mimico, quasi somatico, diventa realtà viva, espressione tangibile di una delle numerose manifestazioni del Mercurio. Nel suo intreccio mette in circolo contenuti, idee, odori, sapori, immagini, rappresentazioni, visioni, favorendo in chi legge una vista diversa, l’accesso a livelli di conoscenza superiori.

Rubedo
Le parole continuano a girarci attorno simili a tante farfalle multicolori silenziose e leggere, nella loro danza di mezza estate. Le vediamo, le sentiamo, le gustiamo, le tocchiamo quali messaggere dell’avvenuta metamorfosi. Con ampie volute invitano ad andare oltre, verso un processo di sottile raffinazione e di sublimata sensorialità per immergersi infine nella Rubedo, espressione dell’ultima fase dell’Opera.
Il rosso con cui è rappresentata la Rubedo rimanda “al colore per eccellenza”, definito in questo modo da Goethe perché contiene in atto e in potenza tutti gli altri colori, la grande sintesi degli opposti. Concetti che si trovano rappresentati nell’Androgino, nel Rebis, il cui mistero è racchiuso nella Coniunctio Oppositorum.
Rubedo è parola accesa, incandescente, che nel suo riverbero spirituale e di trasmutazione è intimamente individuale e si realizza definitivamente attraverso la morte.
In tale fase il Sole e Luna si incontrano e invertono la loro polarità: una inafferrabile inversione dei luminari che nel linguaggio alchimico cela una grande ipotesi di lavoro, la chiave per realizzare il Segreto o Secreto alchimico.
Rubedo è la parola che indica la fase in cui, seguendo sempre un linguaggio apparentemente alieno, attraverso il “Cinabro fissato al Rosso o il Mercurio fissato nella Coscienza” si arriva al raggiungimento della pienezza dell’Opera. Nella chimica il Cinabro indica un certo punto di rosso, ricavato dalla macinazione del minerale contenente solfuro di mercurio, ermeticamente l’unione di Zolfo e Mercurio.
Per le fasi avanzate dell’Opera si parla anche della Fenice, l’animale misterioso capace di risorgere dalle proprie ceneri e ridare avvio alla ciclicità, ma anche del Pellicano che nutre i suoi piccoli con il proprio sangue, del Re Incoronato. E ancora spaziando per indicare la Pietra al Rosso si incontrano il Papaver Philosophorum, la Salamandra, la Rosa Rubea, la Terra Rubea, la Terra Purpurea e il Corallo, quale colore perfetto del Lapis.
Parole “attivatrici” che racchiudono immagini con cui si racconta il mistero del compimento dell’Opera o il raggiungimento di una fase. Sono parole che dicono e non dicono, secondo l’empatia e la risonanza che il lettore crea con esse, dopo un lento lavoro di trasformazione di sé stesso.

Nel labirinto delle parole
Chi inizia il cammino alchimico non può evitare l’incontro-scontro con la propria realtà di vita e con il labirinto presente nella sua mente.
Il labirinto è un simbolo antichissimo, raffigurato nei miti, impresso nella pietra e raffigurato dalle nette volute del nostro cervello. E’ da intendersi come la condizione esistenziale, il campo dell’inconscio o del mentale. Utilizzando parole di Giammaria è “lo scenario di fondo in cui l’uomo brancola e si arrabatta nel sogno che sta vivendo.”
Con l’aiuto della metafora immaginiamo di varcarne la soglia, di entrare nell’originale labirinto delle parole di cui l’Alchimia si è servita per oscurare ma anche illuminare segrete verità.
A questa conoscenza è data la sembianza di una donna scolpita nella pietra nella facciata della cattedrale di Notre Dame, con la fronte che tocca le nubi del cielo e lo sguardo fisso davanti a sé. Nella mano destra tiene due libri, uno aperto e l’altro chiuso, mentre nella sinistra regge uno scettro, e vi è una scala dai nove gradini appoggiata al suo petto. Infatti, è scienza ma anche arte e trascendenza, in cui è richiesto “l’esercizio della bilancia”.
In questo difficile labirinto si può entrare e arrivare alla meta, oppure rimanere persi nelle sue svolte numerose. E nel suo percorso, ben segnato anche dal linguaggio pittorico dei 22 Arcani dei Tarocchi, si incontrano simboli dal significato apparentemente incomprensibile se non folle, quali indicazioni per arrivare alla meta.

Parole in connessione
Ouroburus
Dal citato testo di Giammaria si evidenziano delle parole, scelte secondo un ordine disordinato o meglio sparso che oscilla tra il razionale e l’irrazionale, ma dove una parola diventa chiave di accesso ad altre.
La prima è Ouroburus, un serpente che si mangia la coda. L’origine del termine è frutto di lontane associazioni nate nella mente di chi l’ha pensato e si perde nella notte dei tempi.
E’ un simbolo e una parola che rappresentano la circolarità del Tutto. E’ l’eterno divenire che nel suo moto circolare cadenza l’emanazione infinita, unica, eterna dell’Assoluto. Un serpente-drago, a volte rappresentato alato o coronato nell’atto di fecondare sé stesso, di auto generarsi, di mangiare sé stesso, di autodistruggersi. Una circonferenza infinita in cui l’energia circola, una Via Lattea che circonda la terra, una ruota che gira, come indicato nella decima lamina dei Tarocchi.
Inoltre, Serpente e Drago sono termini ricorrenti nel frasario alchimico e con significati diversi, di cui se ne riportano alcuni. I più usati sono Serpens hermetis che rimanda alla prima materia, Serpens mercurialis quale espressione del Mercurio nell’uomo e nella materia prima, Serpente crocifisso come Mercurio fissato, Serpente verde come Mercurio preparato, Serpens mercurii come spirito ctonio, Serpens terrenus come Nitro o energia sessuale, come principio Sale, Serpens qui cudam divorat, che all’Ouroburus allude.

Mercurio
In un testo del XVI secolo del Bocchius vi è una enigmatica raffigurazione di Mercurio alato. Pare rivolgersi a qualcuno, un ricercatore o un operatore alchimico, invitandolo con un cenno della mano al silenzio ermetico. Quale messaggero alato si pone come traghettatore da una realtà terrena a una celeste. In mano tiene il candelabro con sette fiammelle che irradiano luce nella oscurità dell’esistenza e sono simbolo delle sette forme dell’intelligenza universale.
Ma la parola Mercurio non è solo questo.
Il Mercurio è una delle sette energie e funzioni metafisiche dell’Assoluto, le altre sono
la Luna, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno.
E’ il pianeta del sistema solare più vicino al Sole, manifestazione astronomica e Astrologica della funzione mercuriale.
E’ il metallo liquido, manifestazione minerale dell’energia planetaria mercuriale e che operativamente viene estratto dal Cinabro, che a sua volta per il suo colore rosso simboleggia anche la pietra filosofale che si raggiunge nella Rubedo.
E’ uno dei tre Principi che caratterizzano l’esistenza, cioè la psiche o anima, e che a volte è distinto in Mercurio Superiore, pensiero lucido, intuizione e deduzione, sensibilità e Mercurio Inferiore, emozioni, passioni, attività mentale superficiale, sensitività, mentre gli altri due Principi sono lo Zolfo, lo Spirito e la sua volontà, e il Sale, il corpo, le sue funzioni, i sensi, la memoria.
E’ l’anima duale del mondo, energia universale, generatrice, trasformatrice e rigeneratrice che in natura produce vita e morte, ordine e caos, ecc. e di cui l’anima individuale è parte infinitesimale.
E’ l’istanza progettuale del principio e che dà un senso unitario all’emanazione dell’Assoluto, la coscienza di sé, il Sé.
E’ l’anima individuale che può raggiungere sette stadi, da Mercurio Crudo fino al Mercurio Coronato, attraverso la sua rettificazione, effettuata dalle sette funzioni planetarie, passando così da una prevalenza nell’anima del Mercurio Inferiore, del tutto passivo, a quella del Mercurio Superiore, del tutto attivo.
Visto il gran numero di significati, gli alchimisti hanno simboleggiato il Mercurio con tante espressioni diverse.
Si segnala Il Mare quale “materia da cui estrarre il Mercurio dei Savi”, l’Antro di Mercurio quale “dimora dello Zolfo”, il Mondo quale “pelle del serpente mercuriale”, la Stella di Ermete quale “Esagramma e firma astrale del Mercurio preparato, il Mercurio Coronato sigillo dell’opera, la Sola Stella”, la Fontana dei filosofi “nella cui acqua mercuriale si bagna il Re con la Regina”, la Creta come “il Mercurio in preparazione”, e ancora l’Angelo quale “materia volatile della Pietra”, l’Angelo della Luce nel senso di Mercurio, l’Angelo tramortito o “il Mercurio in sonno nel Saturno”, l’Angelo risvegliato quale “Mercurio liberato dal Saturno” e tante altre ancora, perché il Mercurio è segno d'Aria e nell’Aria si espande.

Vaso
E’ parola generica nel suo senso immediato di contenitore in cui versare un contenuto, ma che l’uso plastico del linguaggio alchimico rimanda a numerose letture.
Si può citare il Vas, quale luogo-oggetto ermeticamente chiuso in cui avvengono i passaggi dell’Opera verso il ritorno e la riunificazione consapevole con l’Assoluto, il Vaso dell’arte, in senso formale quello fatto dall’Artifex, e ancora il Vas Hermetis nel senso della Terra dei Filosofi, il Vas naturae quale matrix o matrice, ma anche il Vas Mirabile sempre come “utero dei figli dei Savi o dei filii philosophorum o figli di Hermete”, il Vas Electionis quale “laboratorium” dove l’Artifex compie il suo lavoro interiore.
E’ un vaso che è anche un Vas Nostrum e un Vas Rotundum, quale “acqua come Mercurio, come Cosmo e Anima Mundi”, o un Vaso secreto quale espressione del Mercurio. Ma indica anche l’Uovo dei Filosofi, “il Vaso Cosmico o umano dove gli elementi della manifestazione sono in embrione”, e ancora il Vaso Alchimico quale matrice o matraccio, che di possibile derivazione araba indica una sorta di ampolla dal lungo collo in vetro, destinata alla distillazione.

Giardino alchimico
Il Giardino è “il recipiente della Materia dell’Opera, il Vaso Alchimico, i colori ne sono i fiori”, mentre il Giardino delle Esperidi è il “luogo dei Filosofi, la mappa simbolica dell’Iter. Del Giardino “è Guardiano un Drago insonne”, ma vi può anche essere una porta d’ingresso chiusa di cui non si possiede la giusta chiave.
Il Giardino è luogo di delizie, hortus conclusus, rosarium, luogo segreto o visione di lontani paesaggi celesti. Vi avviene l’incontro tra l’uomo e il Nume, tra la Terra e il Cielo e diventa topos speciale, laboratorio dedicato al nutrimento, alla contemplazione, all’appagamento celeste. E’ luogo di Terra, di Acqua, di Aria e di Fuoco, dove chi ne ha l’acceso può ricavare un sottile Elisir, una Quintessenza.
Una immagine tratta da un testo del Maier, Atalanta Fugiens, bene illustra il Giardino dei Figli di Ermete, i suoi segreti, la bellezza della Rosa Filosofica. In esso un uomo senza piedi cerca di entrare inutilmente con animo profano.
E’ una parola che ne richiama altre e le scorriamo velocemente: L’orto dell’Ermete, quale rappresentazione del genere umano, al cui interno si trova il Giardiniere, l’Arator, il Coltivatore, l’Ortolano della Terra Celeste.”
Il luogo è attraversato da uccelli di cui si sente il canto, chiamato la Lingua degli Uccelli, quale “lingua della Natura o linguaggio dell’Anima del Mondo”. Si incontrano il volo della Gazza ladra che “media il passaggio dal corvo alla colomba”, il Merlo Bianco quale espressione della Pietra al Bianco, la Colomba quale “volatile della materia dell’Opera”, un lupo grigio e un lupo verde nel senso l’uno del “Mercurio affamato e divorante l’Asino” e l’altro di “Lupo Grigio che ha divorato l’Asino.” Qui il Lupo è il Fuoco Segreto dell’Operatore” e l’Asino “la bestia umana o l’umanimale”.
Vi crescono Rose quali manifestazioni del “Fiore alchimico nei cicli di vita e di morte”, fioriture “quali spiegamento del seme”, il Fiore del Sole “quale manifestazione dell’Opera al Bianco”, ma anche il Fiore azzurro dei Savi, il Fiore Bianco dell’Argento, il Fiore dell’Oro come Mercurio dei Filosofi, oppure il Fiore di Pesco, “il Mercurio Filosofico quale rosso pallido nunzio della Pietra al Rosso”, e non può mancare il Fiore della Saggezza, l’Elisir perfetto.
E ancora tanto altro: le Gemme che si vedono tra le piante, quali espressione di “poteri”, l’Albero quale “spiegamento del Principio nella sua Manifestazione,” un Albero secco quale “albero della Morte, la Materia prima dell’Arte”, Alberi morti nel senso di “Metalli privi di un Agente Specifico, Metalli Morti” intendendo per Metalli “le modulazioni energetiche del composto”, l’Albero Cavo quale Athanor, l'Albero lunare quale “Zolfo Bianco” e infine l’Albero verde o di Vita quale “Albedo” e l’Albero d’Argento indicante “il magistero al Bianco che porta al Rosso”.
Sono tutti simboli di trasformazioni, di stati di coscienza nuovi, che ben compensano il distanziamento avvenuto dalla Trottola del mondo, quale “alienazione esistenziale” che meccanicamente ed eternamente gira su sé stessa.

Personaggi particolari
Come tante figurine di un presepe, le parole di questo stravagante linguaggio presentano anche una serie di personaggi di non facile comprensione circa la loro funzione. Ne scorriamo alcuni velocemente.
Ci imbattiamo nella Madre come matrice, ma anche nella Madre Pazza, ossia “la madre dei Pazzi, la Scienza Ermetica”, nei Due Gnomi ossia lo Zolfo e il Mercurio, nel Ladrone o “io anagrafico”, nella Prostituta nel senso di “madre che si congiunge al figlio”, nei Soffiatori a indicare gli “spagiristi comuni, i chimici delle operazioni chimiche”, nei fratelli nel senso dei “ sette Metalli” e nei Fratelli storpi quali “i Metalli impuri”, nei Fanciulli della scienza, “gli apprendisti.”
Proseguendo il viaggio si incontrano il Fanciullo Ermetico di cui “ne è il nutrimento il Latte di Vergine o l’Acqua Mercuriale” ed il Fanciullo filosofico quale “Bimbo reale, Pietra Filosofale”, il Viandante “ come Mercurio dei Filosofi, i Filosofi, i Figli di Hermete, indicanti “gli integrati e lo sono per generazione univoca”, la Virgo o Vergine significante “l’acqua mercuriale purificata” ma anche “ la Mater, o la Materia prima , colei che ha sotto i piedi il segno lunare”, da distinguersi dalla Virgo Nigra nel senso di “ Terra primitiva, la Materia Prima allo stato minerale , la Miniera di Venere”, la sposa e lo sposo a significare “L’Argento e l’Oro”, il Re “lo Zolfo dei Savi, l’oro filosofico”, il Re malato “l’imperfezione della Sostanza aurea”, la Regina quale “Argento filosofico, l’Acqua mercuriale dei Filosofi”, la Mulier Candida che è “moglie, sorella, madre del Re.”.
Si conclude il lungo elenco con tre espressioni particolarmente suggestive, il Pupo quale “immagine da alimentare perché si faccia cosa…”, ossia da rendere reale, il bisso degli Dei da riferirsi per la preziosa leggerezza e impalpabilità del tessuto al “Corpo di Gloria” ed infine la Cauda Pavonis, la Coda del Pavone, indicante la “nuncia Dei, i colori dell’arcobaleno.”

Qui si ferma l’incompleto sfogliare dei termini arcani con cui i Fratelli Alchimisti comunicavano tra di loro, nel tramandare la loro arte nel corso dei secoli.
Ad un alchimista del ‘900, ancora vivente, va il merito di aver coniugato la lingua del passato con quella del presente nell’intento di rivisitare e riattualizzare un linguaggio apparentemente lontano e morto, ma in realtà ancora capace di trasmettere contenuti vitali e che conducono all’Essenza. Parole e giri di parole, segni ed immagini accendono la capacità immaginifica che un po’ si sta perdendo perché distratti e frastornati da linguaggi a volte assordanti, ecolalici.
Tramite la lettura del linguaggio fiorito della Alchimia si possono aprire due vie. In una s’incontrano pesantezza e frustrazione, nell’altra curiosità, intuizioni, barlumi di diverse luminosità. In entrambe la pazienza e l’umiltà devono assecondare il percorso del ricercatore, secondo il detto lege, relege et invenies.

DANIELA MORETTO