Recensione del libro di Daniel Goleman, Menzogna Autoinganno Illusione, editrice BUR, 2008.
“L'illusione dominante è che noi decidiamo il campo d'azione e d'orientamento della consapevolezza. La realtà sembra essere più simile alle mie fantasie infantili, dove la mente è organizzata da forze che, non viste, lavorano per presentarci una realtà costruita, di cui noi veniamo a conoscenza solo nella versione completa finale. E' come se ci fossero degli invisibili macchinisti che di volta in volta montano la scena - il mondo che è attorno a noi e dentro di noi - in ogni minimo dettaglio. Chi possono essere queste potenze tuttofare della mente, e da dove vengono?” (p.82)
Questo libro dice ciò che la Tradizione ermetica pone alla base della sua teoria e della sua pratica, ossia che noi, esseri umani, selezioniamo inconsapevolmente quello che vogliamo vedere e trascuriamo in modo altrettanto inconsapevole ciò che non vogliamo vedere, scambiando il risultato di questa operazione con la realtà vera delle cose. Il titolo del libro di Goleman Menzogna Autoinganno Illusione è la sintesi perfetta di questo processo inconscio.
A scanso di equivoci preciso subito che Goleman ha cercato di costruire un modello analogico, “un modello che si ripeteva in modo diverso a ogni più importante livello di comportamento: biologico, psicologico e sociale” e non si è posto affatto il problema di altri livelli di realtà, almeno, questo mi sembra di arguire non solo dalla citazione sopra riportata, reiterata peraltro in diverse varianti all'inizio del testo, ma sopratutto la dove egli commenta la concezione della volontà di William James in base alla quale “l'attenzione è un atto della volontà” cioè un atto cosciente e la pone sullo stesso piano di quella di Freud in base alla quale l'attenzione “veniva diretta in modo determinante dalle forze dell'inconscio, un luogo che esclude le scelte consce”. (p.9) Goleman non si rende conto che qui si tratta di due livelli di realtà che richiedono differenti stati di coscienza per essere compresi. Non è un caso che Assagioli sottolineasse con insistenza la necessità di tener conto nell'indagine scientifica dei diversi livelli di realtà citando proprio William James come ricercatore che condivideva questa impostazione: “Ma ciò che produce effetti entro un'altra realtà deve essere chiamato una realtà esso stesso, perciò io sento che non abbiamo una scusa filosofica per chiamare 'irreale' il mondo invisibile o mistico”.
Goleman, dunque, non ci dice niente di nuovo dal punto di vista tradizionale, ma – entro i limiti del suo modello che vuole inseguire analogicamente la correlazione tra attenzione e ansia nell'attività cerebrale, nella struttura mentale e nel tessuto della vita sociale - lo fa in modo magistrale, documentato sperimentalmente e con l'uso ancor più magistrale degli strumenti della psicologia moderna che nelle sue mani diventano attrezzi chirurgici che vanno a riaprire le nostre ferite interiori non del tutto cauterizzate; strumenti utili per chi vuole portare avanti una autoanalisi non solo a parole.
Scrivo infatti queste righe anche per gratitudine nei confronti dell'autore perché mi ha messo dinanzi agli occhi una realtà che non volevo assolutamente vedere. Il clou di questa visita interiora terrae è stato il capitolo PRENDERE NOTA DI CIO’ CHE NON SI DEVE NOTARE in cui ho compreso che qualcosa nella mia vita continuava a sfuggirmi, ma al tempo stesso produceva effetti concreti ben evidenti ed invadenti. Sapevo già di non essere padrone in casa mia grazie all'analisi delle subpersonalità (psicosintesi), ma non avevo ancora chiaro che c'era qualcuno che faceva il gioco sporco non solo decidendo ciò che mi era consentito vedere e ciò che andava censurato (attenzione, qui non si fa cenno al Nume che si pone al di sopra della personalità biografica ma ad aspetti psicologici ad essa inerenti), ma anche determinando zone d'ombra nella mia attenzione che ne oscuravano il campo alla coscienza. Ecco perché è così difficile capire veramente come stanno le cose: qualcuno sta nascondendo le prove rendendole irreperibili, impedendo con ciò la soluzione del caso. Si entra allora in un loop dove ogni ricerca si muove entro confini determinati che impediscono di scorgere una soluzione vera reiterando all'infinito schemi di riferimento che assomigliano a dei paraocchi per cavalli. “Le lacune sono i corrispettivi psicologici degli oppioidi e dei loro effetti anti-attenzione. Le lacune sono parti cieche della mente che dirottano l'attenzione da unità selezionate di realtà soggettiva – nello specifico, da certe informazioni evocatrici d'ansia. Esse agiscono sull'attenzione come il prestigiatore che convoglia l'attenzione del pubblico da una parte sbagliata per poter far sparire dall'altra l'oggetto principale” (p.126).
Mi rendevo finalmente conto, supportato da un modello teorico, di ciò che talvolta avevo sospettato, di essere più falso, e di molto, di quello che pensavo di essere. Si, ero proprio io quello che faceva di tutto per farsi notare e che poi, immancabilmente, non si presentava all'appuntamento. Si, proprio quello che ti tampinava finché non aprivi qualche spiraglio e poi si ripresentava quando ormai anche la brace sotto la cenere era ormai consumata, provocando spesso reazioni stizzite a cui mi aggrappavo per sentenziare giudizi di immaturità. Ero la causa dei miei stessi mali che proiettavo immancabilmente sui malcapitati... Ero convinto della validità delle mie ragioni perché l'intera zona della risposta emotiva degli altri alle mie attenzioni era soggetta a pesanti interferenze, che ne oscuravano la realtà.
Come si fa ad uscire da questo loop che impedisce di vivere decentemente e di non disperdere inutilmente energie vitali? Goleman ce lo anticipa, come un processo di graduale presa di coscienza, nella sua introduzione con le parole di R. D. Laing.
La sfera di ciò che pensiamo e facciamo
è limitata da ciò che riusciamo a notare.
E siccome non riusciamo a notare
che non riusciamo a notare
c'è poco da fare per cambiare,
finché non notiamo come il non riuscire a notare
modelli i nostri pensieri e le nostre azioni.
Al di là delle note biografiche, credo comunque che il libro di Goleman sia ben fatto e renda bene l'idea che il suo autore vuole trasmettere. Per fare un esempio vi ho trovato una spiegazione dei meccanismi di difesa che, per me, non ha precedenti in termini di chiarezza espositiva e di spendibilità, collegati peraltro agli schemi di riferimento che sono i modelli che ci orientano nella percezione della realtà. Gli schemi di riferimento, acquisiti prevalentemente nello sviluppo infantile, orientano la nostra attenzione facendoci selezionare, nostro malgrado, ciò che vogliamo e possiamo vedere e tralasciando ciò che in qualche modo ingenera stati d'ansia perché rievoca esperienze precedenti insostenibili oppure, semplicemente, socialmente non condivise.
Nel suo sviluppo evolutivo ogni individuo acquisisce dei modelli di interpretazione della realtà, più precisamente un insieme di schemi di riferimento gerarchicamente organizzati, che guidano l'attenzione su alcuni aspetti della realtà mentre ne ignorano altri. Funzionano quindi da filtro della percezione che per certi versi ha una sua ragion d'essere nell'economia sensoriale, ma che “diventa un censore quando sopprime informazioni disponibili, non in quanto irrilevanti ma in quanto proibite”(p.124). In altre parole ognuno di noi è soggetto ad una visione soggettiva, semplificata e appiattita della realtà quando la percezione avviene prevalentemente a livello fisico-emotivo-mentale inferiore, ma con l'aggravante che possiamo escludere del tutto inconsapevolmente alcuni aspetti della realtà che ci causano stress od ansia. Goleman a proposito di un esperimento in cui risultava evidente la distorsione visiva (gli sperimentatori ignoravano il contorno provocante del seno di una donna, concentrandosi sull'uomo seduto che leggeva il giornale) è costretto ad affermare che: “Per evitare di guardare, alcuni elementi della mente devono aver saputo in anticipo che cosa era rappresentato nei disegni, così da sapere che cosa evitare. In qualche modo la mente afferra il significato di quanto sta succedendo e sistema velocemente il filtro al posto giusto, convogliando così la consapevolezza lontano dalla minaccia” (p.125). Insomma c'è qualcuno a cui nulla sfugge, a cui Goleman accenna chiamandolo l'osservatore nascosto riprendendo il termine da Hilgard: “la mente ha la capacità di registrare e immagazzinare le informazioni al di fuori della consapevolezza della persona. In certe circostanze quella consapevolezza inconscia può essere contattata e può comunicare, pur essendo ancora al di fuori della consapevolezza principale della persona. Hilgard chiama questa speciale capacità l'«osservatore nascosto»”. (p.100) Questa intuizione che potrebbe aprire ben altri orizzonti di ricerca (il Nume, il Genio o l'Io assagioliano che dir si voglia) viene ben presto lasciata cadere da Goleman. E forse è un bene, visto che quando cerca di andare più a fondo nell'analisi la sua incapacità di muoversi mentalmente in verticale tende ad un inevitabile appiattimento, come nel caso del missionario Livingstone e lo «strano stato» provato mentre stava per essere sbranato da un leone (Assagioli lo avrebbe catalogato tra le manifestazioni della Volontà quando si è in stato di pericolo).
Ovviamente più una persona è stressata e maggiormente sviluppati saranno gli schemi che codificano un senso di minaccia, di pericolo e di avversione. Correlativamente saranno sempre maggiori gli eventi della vita ritenuti pericolosi, la dipendenza dalle manovre diversive e la mancanza di controllo sulla propria vita. A tal proposito è illuminante il caso dello scrittore Leslie Epstein, citato da Goleman, il quale avendo rimosso l'orrore dell'olocausto si ritrovò come conseguenza una “caduta di tono dei suoi sentimenti”. “Epstein perde il contatto empatico con le vite intorno a lui, e con la capacità di sentire pienamente le sue emozioni... […] la manovra mentale di Epstein non è eseguita semplicemente per rimuovere un ricordo doloroso. Egli ricorda i dettagli, il funerale a cui non aveva assistito, e persino il titolo del film. Quello che è rimosso è il dolore connesso. Egli accetta i fatti, ma non le sensazioni che li accompagnano.” (p.140)
Per concludere, Goleman ci avvisa di non sottovalutare i meccanismi di difesa perché “vi ricorriamo tutti” e perché sono infiniti i modi in cui le informazioni possono essere distorte dai pregiudizi percettivi per assicurare una difesa dal dolore. In ogni caso la plasticità delle nostre funzioni psichiche ci sollecita ad una particolare attenzione a ciò che facciamo, ma ancor più a ciò che evitiamo, poiché è in gioco il nostro equilibrio personale e la capacità di accumulare energie sufficienti per poter evolvere verso livelli di realtà sempre più avanzati. Fare un check-up di questi sfondi e di queste zone di sofferenza è fondamentale prima di prodigarsi in qualsiasi percorso spirituale, perché rischiamo di agire inconsapevolmente per reazione di vissuti rimossi, cercando quelle compensazioni che la rimozione e gli altri meccanismi di difesa richiedono come contropartita.
FERNANDO POTI