Centro Studi Ermetici Alchemici

PITTURA E ALCHIMIA

L'opera alchemica è stata definita Magna Ars, Grande Arte, perché con essa si cerca di trasformare la vita umana, nel modo di essere e di fare, in una vera e propria opera d'arte. Opera d'arte è ciò che esprime in una forma innovativa e coinvolgente valori e significati eterni, universali, e quindi spirituali.
Nel proprio comportamento l'alchimista imita i processi e i tempi della natura in maniera non ripetitiva, ma creativa, modificandone il ritmo e le finalità. Inoltre l'alchimista diviene artefice del proprio destino, giacché come l'artista dà realtà all'immaginazione più elevata e modella tutta l’esistenza secondo la propria ispirazione.
L'alchimia può definirsi il migliore utilizzo possibile delle forze contrastanti e dei componenti materiali grezzi a disposizione dell'uomo, in maniera che l'amalgama, l'unione equilibrata di elementi di per sé eterogenei, produca delle loro qualità potenziali non una semplice somma, ma una moltiplicazione esponenziale. Se l'armonizzazione dei componenti umani è perfetta, si produce una loro assonanza o sinergia, i cui effetti si estendono a dimensioni non percepibili con i soli sensi fisici, perché metafisiche.
Nello stesso modo la vera arte amalgama colori, suoni, parole e materiali per rendere percepibile l'invisibile, l'infinito e l'eterno. In generale i grandi artisti sono tali perché capaci di esprimersi tramite temi universali con mezzi fortemente incisivi, simbolici, proprio come gli autori di testi alchemici.
Tutte le forme di arte tendono a dilatare, sia pure in misura e con modi diversi, le coordinate dello spazio e del tempo, che limitano la percezione dell'uomo alla realtà materiale, superficiale ed esteriore. Esse servono a raffinare i cinque sensi, che altrimenti sono come degli otturatori delle realtà sottili, fuori dell'ordinario, sottostanti quella grossolana. Ad esempio i sensi comuni non percepiscono una gamma notevole di sapori e profumi e le loro combinazioni, non distinguono una gamma di sfumature e tonalità di colori e i loro accostamenti, rimangono fermi ai suoni udibili dall'orecchio, non percependo gli armonici superiori. Ma gli effetti cumulativi di queste percezioni sul nostro stato di coscienza, che viene in un certo senso alterato, sono fondamentali per la formazione di un sesto senso, l'unico che permette l'accesso a dimensioni metafisiche.
La scultura, utilizzando materiali di durata quasi eterna, vuole trascendere il tempo e rielabora le coordinate dello spazio. Lo scultore, attraverso una continua interazione del concavo con il convesso segue i processi generativi dello spirito creatore, che dal piano metafisico delle idee innate o degli archetipi modella continuamente le forme sul piano fisico.
La poesia si svincola più facilmente dallo spazio e dal tempo e mette l'ascoltatore in contatto immediato con l'attimo presente, allo stesso tempo immanente e trascendente rispetto alle apparenze della vita. La poesia è un insieme di parole scritte, che reca in sé e intorno a sé la musica nel ritmo e nella metrica nelle strofe.
La musica è arte spirituale eccelsa, quando riesce a trasportare l'ascoltatore lontano dalle coordinate esteriori dello spazio. Nella musica si possono riconoscere le diverse energie archetipiche, che si manifestano nei ritmi, nelle intensità e nei timbri dei suoni, nelle melodie e nelle armonie, avvertendo nel contempo i diversi effetti umorali e psichici che producono. Il canto e la danza sono le forme d'arte iniziatiche più evolutive per l'uomo, perché uniscono la musica e la poesia alle dinamiche del corpo, della sfera emozionale e mentale dell'uomo.
A differenza delle arti figurative, la musica non deve fare riferimento alle forme della natura, ma può esprimere direttamente l'anima dell’artista. La pittura, che non abbia come fine l’imitazione, sia pure artistica, della natura, ma voglia esprimere un mondo interiore spirituale, deve pertanto ricercare modalità innovative, un proprio ritmo pittorico, una geometria degli spazi e dei volumi che si astragga dalla materia, dando più valore alla ripetizione della tonalità cromatica, al dinamismo dei colori, disposti secondo accostamenti armonici o complementari.
D’altra parte la musica deve seguire la successione del tempo, mentre la pittura può presentare all'osservatore, in un attimo, tutto il contenuto dell’opera, cosa di cui la musica è incapace. La pittura ha un suo linguaggio interno, quello degli archetipi che strutturano la natura e che dal dipinto possono far sprigionare una forza irresistibile e una atmosfera inimitabile.
Pertanto la pittura, a partire dal Manierismo, poi dall'Impressionismo, per arrivare alle Avanguardie del Novecento e all'Astrattismo, cerca di slegarsi in maniera sempre più marcata dalle coordinate dello spazio bidimensionale, dal figurativo legato ai sensi grossolani. In un certo senso, come nell’opera alchemica, si tende a separare il sottile dallo spesso, il volatile dal fisso.
Dall’ermetismo alchemico rinascimentale, dagli influssi della filosofia neoplatonica, trae origine la pittura dell’immaginazione come comunicazione dell’anima individuale con l'anima del mondo, idea che poi sarà del Romanticismo, del Simbolismo e del Surrealismo. Tale pittura aiuta a coltivare la facoltà umana di mettere a fuoco visioni ad occhi chiusi, di far scaturire colori e forme, di pensare per immagini, in modo che dalla realtà virtuale tali immagini possano diventare fatti concreti. Nello stesso modo gli alchimisti coltivano la immaginatio vera, che controlla la propria visione interiore senza soffocarla e senza lasciarla cadere in un confuso e labile fantasticare, permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, autosufficiente, con potere proprio.
Sulla base di tutte queste premesse sono stati operatori alchemici grandissimi pittori, vissuti tra il Quattrocento ed il Cinquecento: Jan van Eyck, Dosso Dossi, Lorenzo Lotto, Cosimo Rosselli, Rosso Fiorentino, il Parmigianino, Domenico Beccafumi. Come nel laboratorio alchemico, l'attività pratica del pittore comporta azioni quali macinare minerali e vegetali, mescolare e misurare le quantità di colorante, diluire il tutto con sostanze leganti. Spesso nell'esperienza pittorica l'incontro con l'alchimia avviene per l'esigenza di sperimentare pigmenti inalterabili o nuove tecniche, capaci di conservare a lungo la propria tela e di dare immortalità alla propria opera.
Jan Van Eyck, il più importante esponente della pittura fiamminga del XV secolo, tramite il suo laboratorio alchemico sviluppa l'uso dei colori ad olio, che gradualmente sostituisce in Europa la dominante pittura a tempera. I colori ad olio sono già conosciuti nell'antichità e utilizzati sicuramente nel Basso Medioevo, ma hanno alcuni difetti, perché si stendono male e rischiano di alterare la cromia desiderata. Van Eyck perfeziona i colori ad olio, rendendoli adatti alle sfumature.
Nei dipinti di questo pittore fiammingo sono spesso presenti simboli ermetici alchemici, come nel celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini, dove si simboleggia l'unione dello zolfo, il principio secco e coagulante, con il mercurio, il principio umido e solvente, tramite il sale, il principio neutro formativo. In esso vi è anche uno specchio convesso che raddoppia l'ambiente, mostrando le spalle dei protagonisti e la presenza di testimoni, tra cui lo stesso pittore, ritratto mentre entra con l'altro testimone per sacralizzare l'unione, e il particolare del drago e della vergine, nota metafora alchemica della conversione dei quattro elementi.
Nelle opere di Van Eyck lo spettatore è incluso illusoriamente nello spazio della rappresentazione, tramite alcuni accorgimenti quali l'uso di tre o quattro punti di fuga o di una linea dell'orizzonte alta, che fa sembrare l'ambiente avvolgente, secondo il concetto alchemico dell'intima interazione tra macrocosmo universo e microcosmo uomo. Lo spazio è quindi tutt'altro che chiuso e finito, anzi spesso nei suoi dipinti si aprono finestre che fanno intravedere un paesaggio lontano, come un'apertura verso l'infinito, e ciò è molto evidente nel dipinto del Cardinale Rolin.
Nella pittura fiamminga la luce nelle tele non è selettiva, ma illumina con la stessa forza l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande, utilizzando più fonti luminose, che moltiplicano le ombre e i rilessi, permettendo di definire acutamente i diversi materiali o le diverse superfici: dal panno alla pelliccia, dal legno al metallo. Pertanto ciascun materiale mostra una reazione specifica ai raggi luminosi, il lustro, rendendo visibile l'energia vitale che scorre all'interno della materia, secondo il concetto ermetico che lo spirito è presente in ogni cosa.
Nella pittura fiamminga, che deriva dal tardo gotico, così ricco di simboli e immagini ermetiche, troviamo spesso i simboli dell'athanor o forno alchemico, dell'opera al rosso, del grano che rappresenta l'oro filosofale, degli zoccoli per il cammino iniziatico, del vaso con i fiori per il mercurio vivificato. Si ritraggono spesso giovani donne, che richiamano il simbolo poetico della donna angelicata dei Fedeli d'Amore, simbolo dell'arcana conoscenza della Tradizione iniziatica. Tra l’altro, esse sono sempre raffigurate in una posa a tre quarti, che esprime meglio dinamismo e completezza. Infine un artista fiammingo italianizzato, Giovanni Stradano, realizza a Firenze, nello studiolo di Francesco dei Medici, un affresco raffigurante il laboratorio alchemico.
Anche nel Parmigianino, altro operatore alchemico, troviamo evidenti simbolismi alchemici, come nel ritratto del Conte Galeazzo Sanvitale, il quale stringe nella mano destra un medaglione d’oro coi numeri 7 e 2, l'uno dispari maschile e l'altro pari femminile, che corrispondono all'androgino e alla realizzazione dell’oro filosofale attraverso i sette metalli e i due processi della soluzione e della coagulazione.
Il numero 72 è citato in vari testi della tradizione esoterica, perché legato al più esteso ciclo cosmico della terra e alla precessione degli equinozi, dato che ogni 72 anni la terra si posta di un grado lungo una ellissi di 360 grandi. Poi nello Zodiaco di Dendera possiamo osservare il cosmo con 72 corpi celesti, mentre nel culto di Osiride il dio è rinchiuso nella sua bara da 72 discepoli. Per finire, nel testo cabalistico più importante, lo Zohar, si parla di 72 anziani, si afferma che gli scalini della scala di Giacobbe sono 72 e che il nome di Dio è composto da 72 lettere.
Nell’affresco del mito di Atteone, nella rocca di Fontanellato, il Parmigianino evidenzia il particolare di Diana ed altre donne nude al bagno: nota allegoria alchemica dell’Albedo od opera al bianco, il processo di denudamento e imbiancamento della materia prima.
Di estremo interesse è un suo dipinto con un angelo che sorregge un vaso ovale, dove in trasparenza appare una croce, simbolo ermetico dei quattro elementi nel crogiolo, mentre al centro si staglia una Madonna con un viso ovale ed un collo allungato, che ben rappresentano l'ampolla dell’alambicco e geometricamente un triangolo con la punta rivolta verso l'alto, simbolo dell'elemento fuoco e della materia spiritualizzata. Infatti il mercurio preparato e vivificato, detto anche latte di vergine, è spesso collegato nei testi alchemici medievali alla Vergine Maria, che allatta il divino bambino addormentato, a sua volta associato alla pietra grezza, che si trasforma in pietra filosofale. La figura femminile ha le forme allungate del Manierismo, di cui Parmigianino è il precursore.
Dell'arte manierista, che dilata verso l'alto le proporzioni di certe figure, per esaltarne la spiritualità, i risultati più significativi sono quelli di Domenico Beccafumi e di El Greco, che realizzano dipinti con tematiche alchemiche. Il primo è un altro pittore che realizza un laboratorio alchemico e produce una decina di xilografie, incisioni con supporto in legno, sulla alchimia metallurgica.
Collegamenti alchemici si ritrovano negli affreschi della Madonna della Steccata a Parma, sempre del Parmigianino, dove risaltano delle vergini sapienti dalle vesti auree, recanti sul capo un’anfora, rappresentante il vaso della incontaminata sapienza ermetica. Inoltre sotto le vergini appaiono altrettanti vasi di vetro, di cui due contenenti del materiale tenebroso, due con materiale che emana luce bianca e due con materiale rosso incandescente, simboleggianti le varie fasi dell'Opera.
Non sorprende il fatto che un autoritratto giovanile del Parmigianino sia stato dipinto avvalendosi di uno specchio convesso, come in quello di Van Eyck, giacché molti negromanti ed alchimisti del tempo utilizzano specchi concavi o convessi per raccogliere o convogliare la luce astrale. Come in un dipinto di Van Eykc, un suo autoritratto in età matura ha uno sgargiante cappello rosso, a richiamare l’ultima fase della Rubedo od opera al rosso.
Non sorprende neppure il fatto che il Parmigianino abbia usato colori particolarmente cangianti e sia stato uno dei primi artisti in Italia ad utilizzare tecniche d’incisione con acquaforte. Infatti tale tecnica è inventata in Germania, all’inizio del Cinquecento, da alcuni alchimisti che manipolano solventi, in particolare dal pittore Albrecht Durer. Poi essa è importata in Italia da Marcantonio Raimondi, di cui si conserva una bella stampa raffigurante tre personaggi intorno ad un alambicco.
La tecnica necessita di una lastra di metallo, su cui agisce un acido che la corrode, proprio come l'acqua mercuriale dissolve la materia prima alchemica. Quindi il fuoco scalda e affumica il metallo ed in questi ulteriori passaggi possono intravedersi altre fasi dell'opera di trasmutazione, come la sublimazione e la proiezione. E' da notare che il principio cui è affidato il compito di governare il procedimento di trasmutazione della materia, ovvero l'acqua mercuriale o argento vivo, che fisicamente è un solvente, viene chiamato aqua fortis.
Albrecht Dürer, con la tecnica dell'acquaforte, è l’autore di una celebre opera con molte allegorie alchemiche, intitolata Melencolia I. Col numero I si allude alla prima prova degli alchimisti, la Nigredo, associata ad uno stato d'animo di malinconia, di angoscia e travaglio interiore, simile alla notte. Infatti nell’opera vediamo una donna con un atteggiamento meditativo e scura in volto, mentre il titolo dell’opera è scritto su di un nastro, sorretto da un pipistrello in volo.
Nell’incisione si allude ad una precisa via di conoscenza, simboleggiata da un compasso che la donna reca nella mano destra. In tutta la raffigurazione si evidenzia una fase drammatica, che porta comunque ad un esito positivo, rivelato dalle ali e dalla corona della stessa figura femminile, segni di elevazione dalla condizione puramente materiale, rappresentata da un animale addormentato, a quella spirituale. Le fasi successive sono accennate da un arcobaleno e da un sole splendente, che sorgono dal mare.
Nell’opera si notano una pialla, un martello, un mantice ed un crogiolo, simboli che esprimono varie tecniche per trasformare la pietra grezza, rappresentata da un parallelepipedo irregolare , nella pietra filosofale, che è indicata da una sfera perfetta. Un putto alato sopra il mantice raffigura l’energia mercuriale, che da materia si trasforma in spirito e viceversa.
Inoltre, ad una sorta di torre, indicante il forno alchemico dove è inciso un quadrato magico, vediamo appoggiata una scala a sette pioli ad indicare i sette archetipi planetari che influenzano le operazioni alchemiche. Su di un lato della torre è fissata una bilancia, che simboleggia il dosaggio degli elementi necessari per il passaggio da uno stato ad un altro. Vi sono poi una clessidra ed un campanello, che misurano e scandiscono i tempi precisi per la realizzazione della Grande Opera.
Successivamente il tema della melanconia è stato ripreso, più genericamente, da altri artisti: ad esempio da Lucas Cranach il Vecchio, da Domenico Fetti, da Georges de La Tour. Invece, in un celebre autoritratto del Durer, si celebra la imitatio Christi dell'iniziato, che come Cristo sulla croce deve trasmutare in spirito la materia nel crogiolo. Nei pittori alchimisti la imitazione di Cristo non è una mera allegoria o rappresentazione commissionata dalla Chiesa per i fedeli, che spesso lasciano l'uomo immutato, ma una profonda trasmutazione nell'ambito della vita individuale.
Molti pittori celebri non sono operatori alchemici, ma frequentano circoli d’impronta neoplatonica ed ermetica, seguendo un filone culturale e poetico che nel periodo del Rinascimento è all'avanguardia, ma già contengono temi alchemici i dipinti di Simone Martini nel Palazzo del Popolo a S. Geminiano, realizzati nel Trecento.
Del periodo del Rinascimento ricordiamo Cranach il Vecchio, Giorgione, Botticelli, Tiziano, Rembrandt, il Guercino, Michelangelo, i cui dipinti con motivi mitologici o del Vecchio Testamento sono da leggere in chiave ermetica, come l’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina, dove le figure di spicco – Dio e l’uomo – hanno le stesse dimensioni e sono posti alla medesima altezza. Con ciò Michelangelo vuole sottolineare che l’arte e la cultura si sono ormai liberate dalle costrizioni ideologiche della religione medievale: scopo sempre perseguito dall’alchimia e conquistato in epoca rinascimentale, la cui filosofia pone l’uomo al centro dell’universo conosciuto. Inoltre, con le mani che quasi si toccano, le figure alludono al tema alchemico dell’integrazione del IO superiore con Dio, cioè alla realizzazione del Corpo di Gloria, alla sublimazione trascendente di tutto ciò che è umano.
Leonardo da Vinci, nei suoi scritti cifrati, asserisce di saper trasformare il piombo in oro. Nel suo più celebre disegno, l’Uomo Vitruviano è contemporaneamente iscritto con le braccia e le gambe in un quadrato e in un cerchio. Nel quadrato l’uomo appare come crocefisso nella materia e nel cerchio come una stella a cinque punte. Il disegno, oltre a rappresentare precise proporzioni armoniche, simboleggia la sublimazione del corpo in spirito attraverso la cosiddetta quadratura del cerchio o cerchiatura del quadrato. Si è poi scoperto recentemente che nel dipinto della Gioconda è nascosto, in una delle arcate del ponte alla destra del ritratto, proprio il numero 72, simbolo dell'androgino alchemico.
Del Vasari molto interessanti sono l'allegoria degli elementi in Palazzo Vecchio, a Firenze, e gli affreschi della sala d'udienza di Cosimo dei Medici, studioso di alchimia. Giuseppe Arcimboldo ha intenzionalmente raffigurato l’Imperatore Rodolfo II, grande mecenate per gli alchimisti tra il Cinquecento ed il Seicento, come il dio romano del capodanno e del commercio – Vertumno – cui la mitologia attribuiva una illimitata capacità di trasmutare le apparenti forme della natura. Lo stesso ha poi raffigurato i quattro elementi, terra, acqua, aria e fuoco.
Giorgione, pittore veneto dalla vita misteriosa, che subisce fortemente l’influenza neoplatonica ed appartiene a gruppi esoterici ermetici, è l’autore del celebre dipinto La Tempesta, realizzato ai primi del Cinquecento. L’opera rappresenta il tempestoso procedimento alchemico di conversione dei quattro elementi - terra, acqua, aria e fuoco - presenti nei tre regni dei minerali, dei vegetali e degli animali, tramite la polarizzazione di due poli opposti ma complementari, il maschile e il femminile. La terna numerica 2-3-4 rimanda ad alcuni aspetti numerologici tradizionali. Infatti vi troviamo il 2 volte 3 uguale a 6, simbolo della quintessenza unita alla coscienza, il 2 volte 4 uguale ad 8, simbolo dell’infinito, e la somma di 2,3 e 4 uguale a 9, simbolo di perfezione.
Un caso a parte è il fiammingo Bosch, il cui nome Hieronymus richiama la sacralità del Genio artistico. La ricchezza di inventiva nelle sue opere, vere e proprie visioni oniriche o extrasensoriali, evoca le fasi più acute della alchimia interiore o mentale e sembra precorrere la psicanalisi. Sicuramente la sua opera va di pari passo con certe dottrine religiose e intellettuali del tempo che, al contrario dell'umanesimo rinascimentale italiano, negano la supremazia della razionalità, ponendo piuttosto l'accento sugli aspetti irrazionali.
Non senza un'acuta dose di ironia, Bosch mette in scena la libertà concessa da Dio all'uomo, la sua caduta nel vizio e il destino infernale che attende i peccatori. L'unica via per redimersi, che sembra suggerire l'artista, si trova nelle opere pittoriche che rappresentano il calvario di Cristo e l’Empireo, cioè l’analogo comportamento degli iniziati, dediti al distacco dalle cose terrene, anche se circondati dal male, alla conoscenza e alla propria sopravvivenza spirituale.
Alcuni studiosi, nel tentativo di spiegare i soggetti bizzarri della poetica di Bosch, hanno ipotizzato tesi prive di riscontri documentali: perversioni erotiche od omosessuali, una relazione con la setta degli Homines intelligentiae, spirata a un'eresia clandestina che prevede il nudismo e il libero amore come tramite per giungere alla rinascita dell'innocenza paradisiaca prima del peccato originale, oppure con una cellula superstite dell'eresia catara.
E' invece accertata l’adesione del pittore alle teorie degli umori e dell'alchimia. Nel Trittico delle Delizie oggetti sparsi nascondono simboli alchemici precisi, riconoscibili solo dagli operatori, calati e camuffati però nell'umanità scanzonata e sgangherata del popolino.
Per l'ispirazione del fiammingo Pieter Bruegel è fondamentale il contatto con l'incisore ed editore di stampe Hieronymus Cock di Anversa, che ha il merito di avvicinarlo alle opere di Hieronymus Bosch. L'uso ripetuto di questo nome rivela chiaramente il fatto che questi personaggi appartengono ad un comune gruppo esoterico. Infatti nello studio di Cock, dove si ritrovavano artisti, letterati e studiosi, circolano idee legate all'Umanesimo e all'alchimia.
Il tema fondamentale dell'opera di Bruegel è meditazione sull'umanità cieca, soprattutto contadina, ritratta in episodi quotidiani. Si tratta di una cronaca dalla precisione lenticolare e priva di qualsiasi idealizzazione, da usare come uno specchio per l'auto osservazione alchemica della propria personalità identificata. Portato in primo piano e spesso ritratto nei suoi istinti più bassi, l'uomo di Bruegel è una creatura goffa e viziosa, calata in un universo per niente idilliaco in cui neanche la fede offre un sicuro riparo, anzi è spesso derisa o ridotta a semplice superstizione. Paure, vizi, deformazioni fisiche e morali sono riprodotte con occhio lucido e, per quanto possibile, oggettivo, privo di compiacenze verso quel mondo, ma esente anche dal disprezzo del medesimo.
Il grottesco e la caricatura appaiono usati in maniera non fine a se stessa, ma come simbolo di peccati e debolezze umane, spesso conditi da una garbata ironia. L’arte di Bruegel si lega a quella di Bosch per l'impeto fantastico e la capacità di penetrazione all'interno del magma delle passioni umane, ma se ne distacca per il lato realistico e l'aderenza ai fatti concreti. Non basta ai suoi personaggi la confessione e la penitenza fittizia delle quaresime, poiché il loro destino è ineluttabile. Unica figura che scampa dalle condanne dell'esistenza terrena è il seminatore o il pastore, un soggetto inserito spesso nei dipinti di Bruegel, quale figura immobile che rappresenta il contrasto e l'ammonimento, il distacco di fronte alle tempeste del mondo, l'alchimista.
Ma col passare dei secoli, dalle forme classiche, dai rapporti aurei, dalla precise simmetrie e prospettive del Rinascimento, dove arte e scienza sono in perfetta simbiosi ed esprimono certezze, basate anche sulla certezza di una trasformazione paradisiaca, si passa alle deformazioni e alterazioni dei canoni proporzionali col Manierismo, poi al Barocco, dove le prospettive si moltiplicano per evidenziare l'illusione della realtà comune, dando maggior spazio all'immaginazione.
Nella pittura barocca i temi alchemici sono numerosi e si può citare il dipinto con Ercole al bivio di Annibale Carracci, allegoria dello spostamento della libido dalla voluttà alla conoscenza, condizione indispensabile per attuare le dodici fatiche dell’eroe o distillazioni del composto alchemico. Si possono poi menzionare le figure mitologiche del Caravaggio nel Casino di Villa Ludovici a Roma, gli affreschi del Pinturicchio nella sala dei Borgia in Vaticano con le storie di Iside e Osiride, il dipinto col mito di Atalanta e Ippomene di Guido Reni, dove Atalanta s’arresta nella corsa per raccogliere un pomo d’oro e così rappresentare la fissazione del mutevole e fuggevole mercurio, cioè del polo solvente femminile. Del tardo fiammingo Rembrandt si può citare l'incisione con il mitico alchimista Dr. Faust.
Diversi pittori del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento hanno utilizzato il vasto immaginario alchemico. Nell’età del Romanticismo, dove si esalta il Genio dell'artista come emulo di Dio, il repertorio ermetico è rivisitato in particolare dai Simbolisti, dai Preraffaelliti e dal gruppo dei pittori Rosacrociani, costituitosi nel 1882 per l'iniziativa dello scrittore Sar Peladan, che riprende il nome della società misterica dei Rosacroce, fiorita in Germania nel XVII secolo e diffusa in tutta Europa. Esempio eccelso per i Rosacrociani è la Gioconda di Leonardo da Vinci, per i significati che ravvisavano nella sua androginia alchemica.
Tra l'Ottocento e il Novecento subentrano gli Impressionisti, i Surrealisti, i Metafisici, i Dadaisti. Nei movimenti artistici moderni giocano un ruolo le profonde osservazione della ricerca psicanalitica di Jung, che rivelano punti in comune: i messaggi captati da un inconscio che Jung definisce collettivo, simboli e gesta che seguono la linea dell’Individuazione, termine che Jung usa per spiegare l’atteggiamento che l’uomo dovrebbe assumere per conseguire la Grande Opera alchemica.
Per Jung il lavoro degli alchimisti è fatto anche di reali sperimentazioni chimiche, ma il loro fine, la Grande Opera, è da intendersi come ricerca di esperienze psichiche, che permettano di operare interiormente il processo di Individuazione: la consapevolezza aurea od oro filosofale. Il termine, dal punto di vista etimologico - da in-dividuus - esprime chiaramente ciò che Jung auspica ai suoi pazienti: la non divisibilità, l'eliminazione delle dicotomie. Come il mito alchemico dell’androgino è metafora esoterica del bisogno psicologico di ricostruire l’unità della persona divisa, così nel processo psicanalitico junghiano la persona acquista auto conoscenza e diventa consapevole della natura androgina della propria psiche, maschile e femminile nello stesso tempo.
Secondo l’ermetismo, l’emanazione dell’Assoluto nel manifesto coinvolge tutta la natura. Quindi, se l’artista ha il compito di rappresentare ciò che lo circonda, ciò che percepisce attorno di se,nella sua opera implicitamente include il divino. A tal scopo, alla fine di un lungo processo di ricerche da parte dei movimenti anti accademici, in rivolta contro l'arte illustrativa emblematica del Settecento, come l’Impressionismo e il Post-Impressionismo, fino ad arrivare all’Espressionismo, si giunge al superamento della visione solamente “soggettiva” della realtà, dettata dalle proprie impressioni o sensazioni, tramite l’uso di uno sguardo sempre soggettivo, ma rivolto all’interno del proprio sé, non più solo esterno. Quindi uno sguardo che non traduce il reale, ma che cerca il proprio specifico modo per capirlo attraverso un’analisi del tutto nuova e interiore. Questo anche al costo di abbandonare la figurazione e l’uso degli elementi figurativi classici, quali forme e colori reali.
Cezanne, in particolare, cerca l'interiorità nell'esteriorità, dando un'energia sottile anche alle nature morte, e utilizza forme astratte, spesso matematiche, che diffondono armonia, esplicitando la sublime eternità della natura. Matisse rafforza questo concetto, cercando di rendere il divino unicamente con l'intensità dei colori e forme raffinate.
Una reazione alla pittura impressionista, che fonde elementi della percezione sensoriale ed elementi spirituali, è la pittura del Simbolismo, che rifiuta di copiare dal vero e ricorre invece alla memoria, all'immaginazione e al simbolo, che racchiude contenuti complessi, mitici e universali, ma non facilmente decifrabili, come tutto l'immaginario alchemico. Nelle loro opere si esplora per la prima volta l'affascinate dimensione della coscienza umana al confine tra realtà e sogno.
Nell’abito dei surrealisti le citazioni alchemiche si fanno più esplicite. Victor Brauner dipinge un quadro dal titolo La pietra filosofale e la mostra in forma di sfaccettato e luminoso cristallo. In esso una donna nuda si dirige verso il cristallo ed ha attorno a se una nube luminosa, la cui brillantezza ci fa pensare ad una scintilla divina. Inoltre la brillante pietra è inserita in mezzo ai rami di un contorto albero, simbolo di un sofferto slancio verticale, di mediazione tra cielo e terra.
Con Chagall la pittura diventa onirica e i sogni per l'uomo e soprattutto per l'alchimista rappresentano un modo per capire ciò che il mondo vuole comunicargli. Infatti nella Tradizione iniziatica chi interpreta i sogni può trovare la via per raggiungere la propria trasmutazione. Col surrealista Magritte prende corpo il concetto alchemico della non dualità nella dualità, dove i due poli di una polarità sono in rapporto di complementarità, più che di conflittualità.
Nelle opere surrealiste vi sono contemporaneamente il giorno e la notte, le stelle di un cielo notturno in un paesaggio in peno sole, oggetti giganti in stanze a misura d'uomo, e pertanto questi soggetti non sono solo una provocazione, ma l'affermazione di tale concetto. Lo scrittore e poeta André Breton scrive il seguente passo nel secondo manifesto del Surrealismo del 1929: “le ricerche surrealiste presentano, quanto al loro obiettivo, una notevole analogia con le ricerche alchimistiche: la pietra filosofale è in sostanza ciò che doveva permettere all'immaginazione dell'uomo di prendere una rivalsa sulle cose.”
La pittura metafisica ha influenzato il Surrealismo e De Chirico non è estraneo alla cultura alchemica. Basta ripensare al dipinto Hieroglyphica, dove ci sono tre elementi: una testa di gesso bianca, riferimento all’uomo e al pensiero dell'antichità classica, un guanto di caucciù rosso, chiaro simbolo di lavoro e suggerimento di modernità e infine una sfera verde alludente alla perfezione. Verde, bianco e rosso sono i colori di tre fasi dell’opera alchemica.
La base scenica su cui sono poggiati due dei tre elementi, quelli più prettamente terreni, l’uomo e il suo strumento di lavoro, il guanto, ci rimanda al teatro della vita e alla sua implicita falsità. Ma per illuminare la strada al profano, De Chirico aggiunge il terzo elemento, la sfera: con la testa o comprensione l’uomo, lavorando su se stesso, arriva a perfezionarsi, arriva all’unità simboleggiata della sfera, dato che tutti i punti sulla sua circonferenza hanno la stessa distanza dal centro. L’uomo, appeso alla falsità e rigidità lineare del mondo, tramite una successione di colori o vibrazioni energetiche, deve ritornare nel mondo originale, nell’unità, dove il tutto è Uno e sferico.
Le innovazioni espressive dell'arte moderna sono indiscusse, le tecniche, i contenuti e le poetiche degli artisti delle Avanguardie sono parte del sapere umano e chi si dimostra ostile a quest'arte non può fare a meno di restarne affascinato, perché il fascino negativo non è meno forte di quello positivo. Come nelle illustrazioni enigmatiche e suggestive dei testi alchemici, l'inconscio resta colpito non più perché ritrova nell'opera il riflesso della natura, ma perché si svelano valori nuovi e molto più intensi.
Col Simbolismo si ricerca ciò che l'emblema alchemico nasconde, un'immagine che implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato, per entrare in un mondo fuori dalla portata delle capacità razionali, con tutto ciò che il simbolo porta di vissuto in modo diverso nel tempo e nello spazio, nelle antiche civiltà e nelle mitologie. Salvador Dalì si ispira in molte sue opere alle immagini simboliche presenti nei trattati alchemici. L’opera Heliantus Solifer mostra la pianta dell’alchimia a fianco del Rebis o androgino.
Con il Dadaismo di Duchamp l'apparente insensatezza della figurazione e dei soggetti nasconde e protegge, secondo il precetto alchemico del silenzio ermetico, il significato profondo dell'opera. Egli inoltre propone i ready mades, espressioni dell'inconscio o astrale come scelta casuale di un oggetto, come tentativo di materializzare la propria visione sensibile. Con il Cubismo, in particolare con Picasso, le forme della realtà comune vengono scomposte e ricomposte in vari modi, come nel procedimento alchemico della soluzione e coagulazione della materia prima.
L'arte bizantina e medievale, che vuole comunicare il divino agli uomini, con superficialità viene ridotta dai fedeli e dalla Chiesa a oggetto di culto esteriore o di venerazione, di richiesta di miracoli. Pertanto l'arte diviene sempre più realistica, educativa, didascalica, ha una funzione di racconto delle sacre scritture, d'insegnamento teologico, legata a regole rigide, imposte da questo fine. Questo fatto provoca la reazione degli artisti più sensibili, che si orientano verso un'espressione artistica più libera, una astrazione o deformazione dell'aspetto reale o materiale, per esprimere il divino che sentono intimamente o inconsciamente dentro di sé.
Questa predisposizione interiore verso la ricerca del sottile si evidenzia all’inizio del ’900, dove il problema della rappresentazione segue la strada di partire dalla realtà sensibile e percepibile, direzionandosi verso la ricerca del senso, dell’anima insita dentro la realtà stessa, arrivando alla più totale assenza di riscontro sensibile del reale, con il radicale rifiuto di colori e forme o l'equilibrio di mille elementi che appaiono come tutto o niente. L’opera diventa così pura sensibilità, puro dialogo tra l’artista e il divino, l’elemento con cui esprimere le proprie verità ritrovate.
In tal senso l’Astrattismo di Kandinsky avrà contenuti altamente filosofici, se non pitagorici, con un gioco di equilibri cromatici perfetti, per un nutrimento spirituale, in una atmosfera coinvolgente e visionaria. Con Klee l'astrattismo è immersione onirica nella materia grezza, per trasmutarla in qualcosa di più sensibile e sottile, avvicinandosi al principio originale, al contatto con quelle forze che muovono il mondo, forze che sono prettamente creative e dai contenuti sovrannaturali.
In Pollok l’alchimia si manifesta dal caos della materia, nella sua trasformazione in forma, in termini quasi istintivi e semplificati, ma nuovamente dinamici e in qualche misura drammatici. Con l’informale, la pittura di materia si presta, anche se inconsapevolmente, a rinverdire l’antico parallelismo di arte e alchimia come suggerisce il titolo del quadro di Pollok, Alchimia (1947), dove la materia del colore, ottenuta per infinite sovrapposizioni, conferma l’idea che l’alchimia può esercitare sull’opera un patos laico, una vitalità esplosiva, uno stimolo per la ricerca di una nuda radice esistenziale. Qui si esplicita il concetto alchemico di prima materia, che ogni cosa dotata di forma abbia origine in un comune principio precedente all'opposizione di fisico e spirituale, interno ed esterno.
Per Malevič la materia non è altro che materializzazione della luce e con il Suprematismo esalta la pittura monocromatica, prendendo le mosse da un famoso monocromo del passato: quello del paracelsiano Robert Fludd, che nel suo Utriusque Cosmi Historia descrive la Genesi attraverso 17 tavole da lui illustrate. La prima di queste rappresenta il caos originario, che lo inscrive in una tavola monocroma, totalmente nera. La seconda prosegue con la creazione della luce, inesauribile fonte di tutte le cose, e in essa compare l’oscurità accompagnata dalle acque, che cominciano a dividersi in chiaro e scuro. La terza tavola rappresenta al centro le tenebrose acque lontane dalla luce, che costituiscono la fonte della materia, e ai margini le acque superiori, da cui si svilupperà il divino cielo infuocato dell'Empireo.
Nella quarta tavola Fludd rappresenta il caos degli elementi delle acque inferiori, “una materia grezza uniforme, nel cui ventre gli elementi sono rinchiusi in modo così confuso… che essi combattono selvaggiamente tra loro”. Lo stato ideale e finale della materia è raggiunto quando gli elementi sono ordinati secondo la loro densità: dall’esterno all’interno terra, acqua, aria e fuoco, con al centro il Sole o l'Oro. In modo analogico, dai monocromi Malevič ritorna alla figurazione, anche se di un tipo del tutto particolare: ricco di colori ed elementi simbolici, frutto di passaggi alchemici dettati da una scalata interiore. Sono famosi i suoi contadini senza volto, vestiti di nero, rosso e bianco.
Forse proprio la mancanza di figure o immagini che traducono in bidimensione la realtà, ha permesso a Klein di allontanarsi dalle problematiche della rappresentazione, immettendosi in diretto contatto con lo spirito. Per Klein, come per l'alchimista, l'artista è ciò che pensa e anche la cosa che pensa. Con ciò si manifesta il principio ermetico che nell'uno è il tutto, che vi è una fondamentale unità nell'universo e che il singolo è parte attiva dello stesso universo.
Klein, attraverso i suoi monocromi, ispirati dai cieli azzurri di Giotto, s'immerge intimamente nella realtà delle cose, in maniera continua e vibrante, sublimandola e dissolvendola in puro colore. Gli elementi dell’opera sono inseriti in un campo di vibrazioni e, se queste vibrazioni coincidono con quelle dell’osservatore, l’opera assume caratteristiche divine. Per Klein dal buio o assenza di elementi parte la volontà del Principio di farsi vedere, e quindi è corretta l'equazione tra l’apparizione della luce, l’inizio della manifestazione divina, e il passaggio da dipinti monocromi ad una “pittura di fuoco”, che non si limita a rappresentare la realtà, ma la interiorizza dentro di sé, creando un tutt'uno con la materia-colore e lo spirito.

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